Tutti eravamo uguali, quantomeno davanti agli occhi di Dio

Carissimi

Vedevamo i figli dei ricchi giocare da dietro quella grata sul marciapiede nella strada, loro in un campetto con delle porte di calcio vere e le magliettine tutte uguali, persino l’arbitro ad arbitrarli.

Noi con quelle nella migliore delle ipotesi con due bande sui pantaloni a imitazione delle più famose e costose tre e tutte diverse, chi più chi meno in base alle proprie disponibilità e qualcuno anche le scarpe sfondate e qualcun altro, il più privilegiato anche con quelle scarpette di calcio che a volte era solito utilizzare la domenica per andare in chiesa, convinto com’era che subito dopo non avrebbe avuto tanto tempo per tornare a casa a cambiarsi, prima di andare a fare la solita partitella in quel campo ipotizzato per strada, in quelle aiuole ancora non completate

Eravamo lì con uno spirito francescano per formazione, l’associazione cattolica che ci dava gli insegnamenti, le basi di quello che doveva essere il nostro credo a supporto della nostra fede, dov’è tutti eravamo uguali, quantomeno davanti agli occhi di Dio anche se questo effettivamente non si vedeva.

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Mi basterebbe poco per questa mia Palermo

Carissimi

Approfittando di un momento libero mi sono avventurato questa estate, verso sera, in una delle giornate di un fastidioso scirocco, in via Maqueda, e ho fatto la piacevole conoscenza con un commerciante che davanti la sua bottega era intento a togliere con la scopa quanto accumulatosi sotto il marciapiede durante la giornata, non curandosi se tale opera di pulizia si ritorcesse verso lo stesso, rientrando all’interno della bottega o depositandosi sui banchi in esposizione.

Mentre stavo guardando la merce davanti al negozio, una folata di vento ci investi portando su di noi la stessa polvere, tanto da farmi imprecare “E che cribbio, non comprenderò mai da dove viene la sporcizia di questa città? Non c’è rimedio? Sono consapevole che tra di voi commercianti vi date da fare ognuno davanti la propria bottega al meglio per contribuire a rendere decoroso il marciapiede.

L’omino tra il divertito e l’ironico, senza turbarsi più di tanto mi rispose: “se vossia è di qua, dovrebbe sapere che da noi è così, a meno che non è forestiero. Quel che buttiamo fuori di casa, va a male tutto insieme davanti alla porta e poi tutto il giorno ce ne difendiamo. Ma come vedete……”

Risposi:” ma scusate in tutte le grandi città è così? Perché a Palermo diventa un grande problema’” Leggi il resto dell’ articolo »

E’ possibile parlare male della propria città?

Carissimi

E’ possibile parlare male della propria città specialmente se questa si chiama Palermo?

Può un monologhista palermitano dichiarare l’amore per la propria città e subito dopo dichiarare che non ci vivrebbe mai?

Dove sta questa lesa maestà? È stato sempre facile dire “amo Palermo” ma è stato difficile distinguere a priori di quale Palermo si parlasse, la Palermo della movida, la Palermo del Teatro Massimo, la Palermo delle manifestazioni, la Palermo delle targhe commemorative, la Palermo del dolore e delle stragi, la Palermo residenziale o la Palermo di una perduta periferia?

La Palermo fatta di coloro che decidono che così può andare, la Palermo fatta di persone che decidono che te ne devi andare?

Come dare torto a chi per riuscire nel proprio lavoro e far valere il proprio talento è costretto a cercare altri lidi, a chi ha dovuto mangiare polvere e strisciare in casa propria per poi decidere di dover mangiare ulteriore polvere, ma poter fare affermare il proprio valore lontano da casa?

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La domanda è una sola: “dove ho sbagliato?”

Carissimi, dove ho sbagliato?

E’ la domanda che mi faccio di questi giorni ma che si dovrebbero fare in tanti, “dove ho sbagliato?”

Ho provato per una volta a ribaltare il concetto, con la mia mente matematica, per potere contro dimostrare il teorema e per una volta non ho pensato a chi ha afferrato la valigia andando via da questa mia città, ma a coloro che come me hanno fatto un investimento restando.

Un investimento pieno di sacrifici, spendendo una laurea reale, importante, di quella guadagnata tra i banchi delle università subito dopo la maturità, con fior di maestri, con considerevoli sacrifici e poi il tuffo in una realtà professionale non certo semplice nella quale per forgiarsi è stato necessario anche qui combattere, ogni qualvolta la logica lasciava spazio ad altro tipo di teoria, di certo non sempre pulito.

Dove ho sbagliato? Dove abbiamo sbagliato, perché nessuno di noi è esente dalla necessità di questo esame di coscienza, poiché non sono stato il solo che ha voluto scommettere sul futuro di questa terra, non sono stato il solo che ha avuto un ruolo e si è speso nel credo di un reale cambiamento.

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Il “rumore” del silenzio alle diverse latitudini

Carissimi

Quanti di voi si sono fermati di questi tempi a sentire il “rumore” del silenzio?

In queste mie brevi vacanze mi sono recato come sempre in quella che io reputo sempre la mia patria adottiva, tra le alte vette, le montagne dell’Alto Adige, il verde delle vallate allontanandomi da questa mia sicula e solare isola e dal blu del suo mare e credetemi, non soltanto per un naturale bisogno di trovare frescura a quote diverse, ma per resettare il cervello riempendomi oltre che di ossigeno puro, anche di serenità e silenzio.

Sono certo che, pur parlando la loro lingua e amando le loro abitudini e i costumi alla lunga non potrei vivere in quelle terre di confine, perché io sono stato forgiato qui al meridione, anzi di più, in un’isola e come tale ho avuto l’opportunità di vivere alla vista del mare, un concetto diametralmente opposto.

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Quante storie a lieto fine se non fosse esistito “lui”

Carissimi

Io la mattina esco per lavorare e la mia vita mi passa a risolvere problemi, sia per professione e sia perché con il tempo ho imparato a farlo.

Quanto sopra è di una semplicità estrema e potrebbe già di per se aver chiuso il racconto, purtroppo a ciò c’è il seguito, poiché come ben sapete da qualche parte della città (così come accade per tutti) ci sono almeno dieci persone che scendono da casa per crearmi problemi, fastidi, impedimenti essendo la loro mission legata nella circostanza del non saper far nulla di costruttivo, e quindi di avere la necessità per giustificare la propria esistenza, di criticare e demolire quanto di concreto viene generato.

La cosa sconvolgente è che il più delle volte costoro vengono retribuiti per farlo.

Per non parlare poi degli invidiosi, quelli che mangiano guardando sempre nel piatto altrui.

Purtroppo, la mediocrità e il male, la gente “tinta” (non è spagnolo), ma cattiva, governa più del 50% degli esiti della nostra azione.

Immaginate in un esercizio didattico estivo, pre-feriale cosa sarebbe stato del mondo se non fosse esistita la gente cattiva, di certo quasi tutte le storie sarebbero andate a buon fine, come in un notiziario bavarese.

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L’attore che è in noi si riposa

Carissimi

Va bene, sapete che vi dico? Me ne salgo a Crongoli, ma non solo perché sono stanco, ma perché sento proprio la necessità di fare un bagno di “gente semplice”.

Non è pertanto la gente che mi porta a fuggire, ma la necessità di incontrare “gente semplice”.

Di gente, ne incontro tanta, vivo tutto l’anno insieme a loro e gioco alla loro “partita”, mi metto a disposizione, lavoro, penso, studio, coordino, mi prendo tante di quelle “boffe” per avere la possibilità di rendere sia il mio che il loro tempo più gradevole, ma giunge un momento che per troppa generosità, sono stanco.

Sono stanco delle ipocrisie, sono stanco dello stato dell’arte, sono stanco di questo “canavaccio” scritto male, con i piedi, per permettere a chiunque di salire sul palco e “recitare” in questa gigantesca “filodrammatica di parrocchia” della quale non sono il “capo comico” ma mi devo accontentare di recitare le mi poche battute, di stare sempre in scena come una comparsa, di più, come un “cameo”.

Sono stanco anche io di dover recitare questa “trama” per la quale o ti rendi aggressivo in ogni momento e per qualunque cosa o ti rendi completamente remissivo e stupido, affinché chiunque possa pensare che con te ce l’abbia fatta.

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Lo chiamavamo “Sputa in Cielo”

Lo chiamavamo sputa in cielo

È ovvio che non si chiamasse così però per noi confidenzialmente era da sempre sputa in cielo. Un bimbo particolare, non nascondo che tutti coloro che avevano l’età per stare in piedi erano da subito cooptati nella squadra di calcio della zona, persino i più scarsi che come al solito, venivano messi in porta.

Da piccoli si aveva un’idea del pallone molto particolare e confusa, a partire dal fatto che parlare di “pallone” era già un lusso visto che si giocava per strada con qualunque cosa potesse ricordare la forma sferica.

Se poi qualcuno riusciva ad ottenere in regalo dai propri genitori l’acquisto di un pallone (come il Super Santos o ancor peggio il San Siro) la cosa si faceva seria, benché questi palloni di plastica leggeri decidevano di prendere arbitrariamente le traiettorie e i ragazzi “in campo”, più che seguire schemi calcistici, si trasformavano in serpentoni di bambini all’inseguimento di un pallone e correvano minacciosi nella direzione della porta dove per pronto accomodo l’involontario portiere si scostava lasciandoli passare per paura di essere travolto.

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Carissimi, “Leviamoci Mano”.

Eh, sì dottore sa cosa penso? Leviamoci mano. Anche quest’anno si avvicina l’anniversario, anche quest’anno è naturale che, mentre si staranno preparando i soliti noti, i soliti spettacoli, la solita commozione, le tante manifestazioni, sa che le dico, io ho deciso di levarci mano.

Come si dice dalle nostre parti, sa benissimo che, quando si discute con qualcuno argomentando e questo qualcuno si rifiuta di sentire le argomentazioni, o peggio non arriva a comprendere le motivazioni altrui, arriva un momento in cui ci si guarda negli occhi e ci si dice leviamoci mano.

Riflettevo sui pochi giorni di distanza che ci fossero tra il “Festino” e “Via Damelio” e atteso che ad oggi si continui ancora a girare in tondo sulle responsabilità e su i mandanti del nefando attentato, di una cosa mi sono convinto traguardando le manifestazioni commemorative attraverso quelle pagane, chi ha deciso, chi ha partecipato, chi ha spalleggiato un attentato come quello era con tutta probabilità a festeggiare affidandosi alla “Santuzza”, la quale per costoro avrebbe dovuto proteggere non le vittime, ma i colpevoli, perché questa città è un grande minestrone dove alla fine siamo tutti accanto.

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Che Noia Questi Ingegneri!

Carissimi, che noia questi ingegneri!

Stanno sempre lì a dirti quello che si può fare e quello che non si può fare, quando sarebbe più facile giocare d’azzardo e fare tutto, contando sulla percentuale di quante volte può andar male.

Questi noiosi calcoli che stanno alla base di tutte le risoluzioni di questi noiosi ingegneri, interminabili tabulati, grafici, formule per giungere a ciò che più semplicemente si può fare.

Poi che ce ne facciamo di questi noiosi personaggi, “nemici da cuntintizza”, regaliamogli il timbrino con un numeretto e diciamogli solamente: “firma qua”!

Non si sa mai, conserviamole queste carte se un domani dovesse andar male per qualunque imprevisto dettato dal fato.

Intanto, invece di ascoltare queste noiose cassandre, andiamo su “YouTube” ci sarà un tutorial su tutto e quindi in fondo “siamo tutti ingegneri”, possiamo diventare tutti ingegneri seguendo quelle spiegazioni in “chiaro inglese” lette con la cadenza dall’indiano simpaticunazzo di turno, loro si che sono utili ed essenziali, sempre allegri e no “questi noiosi ingegneri”.

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