Archivio per la categoria: Editoriale Settimanale

C’era una volta “Me”

Carissimi

C’era una volta Me, così potrebbe iniziare come tante “favole” il racconto della mia vita.

Si, perché la mia vita è una favola (come sono certo la vita di molti di voi) e giunti al quarto che conta si potrebbe non solo iniziare a metterla per iscritto, ma iniziare a pensare pure chi te la possa pubblicare.

Ci saranno di certo strafalcioni grammaticali, l’uso improprio di virgole e virgolettati, l’inizio di frasi con “ma” e tante di quelle imprecisioni da penna rossa che darebbero lavoro ai “correttori”, quelle figure mitiche che iniziarono con le bozze e finirono con le vite altrui, proprio quelle “vite degli altri” di cui mi sono pregiato di scrivere e portare in “scena” in un reading di “Leggendo Epruno”.

Reading di Leggendo Epruno, si una lettura corale inventata nel momento in cui ho iniziato a contare i miei passi e prendere appunti sulle sensazioni e infine ho avuto non solo il coraggio di metterle su foglio, ma chiedere a qualche amico …… “scusa le leggeresti?

Infine, mi sono seduto nell’ultima fila per osservare le espressioni di chi benevolmente o perché stanco degli inviti si era seduto ad “ascoltarmi”.

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Nani da giardino “gartenzwerg”. Istruzioni per l’uso

Intendiamoci te ne vai sui social ma scopri che ci sono sempre le stesse persone, non perché ci sono solo è sempre le stesse persone ma perché, circostanza vuole che l’algoritmo ti faccia evidenziare i post fatti dalle stesse persone con cui più sei in contatto o che di fatto, “amici degli amici”, potresti conoscere ed essere quindi tuoi contatti.

Se ci fosse un algoritmo anche nella vita che ci permettesse di incontrare sempre le stesse persone, potrebbe essere una bella cosa, purtroppo no, non c’è natura né “intelligenza artificiale” che tenga, non è così che va la vita giornalmente e pertanto siamo costretti all’incontrario di tanti “nani da giardino”, così io chiamo le “teste di pazzo”, quelle le quali se la suddetta “intelligenza” dovesse prendere piede e sopravvento, potremmo dormire sogni tranquilli.

Perché i nani da giardino? chi sono i nani da giardino? perché nani? o perché da giardino?

In Germania sono una tradizione ed in tedesco si chiamano “gartenzwerg”, li metti lì mimetizzati tra le foglie nelle piante del giardinetto di casa (si, perché da quelle parti hanno il giardinetto di casa qui facciamo finta che si mettano nel balcone) e quando incontri il loro sguardo che ti mette allegria, ti convinci che ti portino bene e scaccino qualunque “avversità” e ti risolvano problemi.

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Il Re Porta la Corona o la Mascherina?

Carissimi

Non riesco a scegliere quale possa essere l’evento o l’accadimento che meriterebbe di esser commentato con voi, miei cari 24 lettori, visto il proliferare di situazioni degli ultimi giorni. Vi avrei voluto parlare della polemica sui ritardi del PNRR e della mia certezza che fin quando non rivedremo l’organizzazione della pubblica amministrazione, più vocata a creare comitati di controllo che postazioni tecniche di lavoro, resterà una delle tante occasioni mancate, ma avendo perso l’attimo fuggente anche questa notizia è apparsa subito superata.

Avrei come sempre potuto parlare di come proliferano gli scavi ed i ripristini fatti male in città e con esso le nuove buche e gli avvallamenti, creino costantemente pericoli per la cittadinanza, ma sembra che senza risorse economiche, anche queste siano andate in prescrizione.

Vi avrei voluto parlare della pandemia “finita” così come era iniziata con un annuncio in “tv” (piango per coloro che non avevano una televisione), ma per commentare ciò ci vuole “gente ca sinni sienti”, e scusate, ma io personalmente sono ancora sotto l’influenza dei postumi e potrei apparire inusitato nei commenti.

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Dov’è il Progetto? Non lo Trovo?

Carissimi

Credetemi, percepisco anche io una certa stanchezza non tanto muscolare o articolare, quella la do per scontata dovendo fare i conti con l’età che avanza, ma mentale dovuta alla circostanza che il ruolo di Cassandra non mi si addice ma di certo quando ci sono “Elene di Troia”, di mezzo, il palermitano (e non solo) “strammia”.

Ora capire quale è la sostanza del contendere in questo momento primaverile che attrae in questa città è ancora parzialmente velato e pertanto imprudente da svelare con certezza, ma diventa sempre più interessante comprendere quale “idea” di città vogliamo consegnare ai posteri, quale progetto di città stiamo sognando per poterla realizzare un giorno.

Io pure avendo degli ottimi strumenti di lettura e occhiali di tutte le graduazioni, mi perdo, poiché malgrado i numeri dei lettori, mi danno soddisfazioni (essendo passati dai 24 ai 25, numero caro al Manzoni) mi sa che quando parlo di città, o sono incompreso o risulto per essere poco interessante ed è come se i miei concittadini avessero perso qualunque interesse per questa nostra realtà dopo essersi fatti ammaliare per anni da una “visione” (personale) e oggi essersi rassegnati al fatto che dopo un personaggio divenuto storia di questa città non ci potrà essere un futuro.

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La Mia Giornaliera “Via Crucis”

Carissimi

Per uno come me, cresciuto in una via che si chiama Terrasanta, parlare di “via crucis” e quasi conseguenziale.

Eppure non prendete l’utilizzo di questo nome come blasfemo o addirittura frutto di un pensiero “eretico” se ormai da tempo l’associo al percorso che giornalmente affrontiamo camminando sui nostri marciapiedi o nelle strade, praticamente diventate percorsi di guerra o ridotte peggio di quelle descritte dal commerciante di via Nuova a Goethe nel suo viaggio in quella che fu la città della terra dove fioriscono gli aranci.

Credetemi sono stanco di parlare sempre di questa emergenza che va sempre peggiorando e nessuno prende iniziative, nessuno riparare, nessuno si indigna, nessuno interviene e non basta vedere in eurovisione un giovane ciclista colombiano, nella tappa del giro d’Italia, volare in ospedale, entrando in curva in via Roma, dopo essersi incanalato in uno dei tanti fossi scavatosi subdolamente nell’asfalto, grazie ad un pessimo ripristino o al peso del transito degli autobus.

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Il Fuori Corso, Mitologica Figura

Carissimi

Giorni addietro in un programmato passaggio in Ateneo ho avuto modo come sempre mi accade in questi ultimi anni di verificare il veloce cambiamento da un punto di vista dei costumi dei nostri studenti, ormai costantemente accompagnati dai loro cellulari e connessi ad una realtà che di certo starà da qualche parte, ma non in quell’aula.

Mi sono guardato in giro e mi sono chiesto, che ne è stato di quei lunghi corridoi monastici frequentati in prevalenza di uomini (parlo della facoltà a me più familiare, quella di ingegneria), dove incontravi il “fuori corso”, mitica figura che spesso veniva scambiata per il professore o l’assistente, tanto era fisicamente matura e perché no, autorevole, vettore di informazioni vissute e non per sentito dire, consigliere di strategie didattiche che finivano per agevolare tutti tranne lui stesso.

Chi non ha studiato sulle dispense clandestine del fuori corso, i mitici esercizi appresi durante le ore di esercitazione e i frequenti casi di esami, dove tu ti facevi la croce, e pensavi “come finisce si cunta” poiché chi ti avrebbe dato certezza della correttezza di quelle pagine di appunti?

Il dubbio si sarebbe insinuato, pensando che l’autore di tali appunti aveva dovuto sudarsela la materia o peggio, non ancora l’aveva superata.

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“Cappiddrazzo” sta morendo

Carissimi

Se la politica non gestisse soldi, se la politica fosse solo l’amministrare le incombenze della società dubito che ci sarebbe la folla all’ora di candidarsi da parte di chi deve risolvere il proprio futuro.

Vedere tutto questo ben di Dio alla portata di tutti davanti a noi e non chiedersi a chi appartiene e una tentazione alla quale non sappiamo rinunciare, poiché per noi non può esistere il concetto di collettività, di cosa di tutti, poiché se c’è una cosa che non è di qualcuno specificatamente e non è recintata è certamente di nessuno e, o la si abbandona al suo degrado, o la si occupa accaparrandosela, è più forte di noi e pensate a quanta di questa roba è a disposizione di chi arriva al vertice di una collettività (e dei propri amici di merenda).

È il concetto di “tutti insieme” che viene difficile a digerire, poiché si è tutti insieme per far cosa? Tifare? Fare battaglia contro altri? Mettere paura?

Mai che qualcuno pensi che si possa stare insieme per condividere risorse.

Esistono dalle nostre parti gli “imprenditori della vincita”, coloro che vogliono fare attività partendo dall’idea di eliminare il rischio imprenditoriale nella loro attività, coloro che incamerano le vincite e socializzano le perdite, già di per sé non solo scorretto, ma termometro di una attività che non potrà mai essere imprenditorialmente sana.

Siamo imprenditori e spesso “tavernari” con gli spazi che prendiamo alla collettività, ma lasciando in cambio cosa? Accrescendo di valore anche culturale o morale, che cosa? Chi?

Siamo ipocriti, siamo soltanto poco onesti già con noi stessi, rifuggiamo la competitività e come sempre cerchiamo scorciatoie che ci aiuteranno a sopravvivere giusto il tempo necessario della protezione del “santo del momento”, giusto il tempo per cercare nuovi santi, nuove opportunità di aggirare l’ostacolo, nuovi espedienti ……. E la qualità?

Quando si potrà crescere continuando di questo passo?

Chi crede di conservare non dico ideali, ma principi, come me, è convinto che andato via “quello sbagliato” ne possa giungere “uno giusto”, ma ciò rimane soltanto un esercizio mentale o forse dialettico e questo ti taglia le gambe perché ti perpetra la mediocrità alla ribalta e allora non si va fuori per realizzarsi, perché qui non c’è humus su cui coltivare o fare crescere qualcosa, ma perché qui non c’è il privato disposto ad investire, poiché il suo competitor sarebbe comunque chi utilizza (spesso sempre a gratis) ciò che è di tutti e quindi fondamentalmente anche suo, limitandosi, come “cappiddrazzu” a non pagar nessuno.

E allora, perché perdere tempo, perché stare appresso a chi ti vuol far credere che “tutto il mondo è paese”? Non è vero, esiste un mondo peggiore del nostro e questo è testimoniato da quanti pur a rischio della morte nelle traversate diaboliche vengono a morire nel nostro mare, ma esiste anche un mondo migliore del nostro, dove il “vero talento” trova opportunità e viene cercato, un “mondo giovane” che sa prendersi carico dei giovani, degli anziani e sostiene gli “ultimi” senza bisogno di redditi di cittadinanza, ma nel quale tra colui che è momentaneamente assistito e il laureato lavoratore, c’è una effettiva differenza.

Non possiamo continuare a pensare che una persona meritevole di un sussidio, stando a casa prenda “mille” e un laureato, dottorato, masterizzato che lavora spendendosi l’anima prenda per esempio “mille e cinquecento”, in quale paese civile, industrializzato o evoluto occidentale, trovi un idiota che per cinquecento (in media) di differenza, non decida di rimanere a casa a spese della collettività.

Queste cose, lontane dal dibattito politico, vanno dette. I nostri partner europei nordici usano da anni questi strumenti sociali, ma lì a differenza che da noi, il laureato o chi lavora prende “cinquemila” contro i mille del socialmente assistito (che in attesa di ritrovare un lavoro da una mano d’aiuto alla collettività) e nessuno si scandalizza, e tutto ciò appare giusto perché non si lascia dietro nessuno e perché non ci può essere chi idealizza “un assegno di disoccupazione”, sapendo che dopo anni di sacrifici familiari e spese per gli studi giungerà a guadagnare e meritare uno stipendi parametrato per almeno cinque volte superiore, del “poveraccio”.

Vergogna! E’ il concetto di merito che avete ucciso, giungendo a generare una guerra tra poveri, livellando tutto verso il basso e distraendo la collettività con i dibattiti del momento, fino anche ad inventarvi una guerra di genere.

Un abbraccio, Epruno.

 

Cosa c’è dietro l’angolo?

Carissimi

Cosa c’è dietro l’angolo? Di certo da oggi avremo forse la testimonianza di Maurizio Costanzo a raccontarcelo (riposi in pace), mandato in avanscoperta, ma prima che lui possa dirmelo passerà tanto tempo mi auguro, spero, e fino a quel momento non potrò che restare legato all’osservazione di fatti terreni.

Mi viene in mente una delle domande che non avrei voluto portare nel mio “zukunft”, quella più importante: “cose c’è dentro la mente dell’essere umano? Di quale materia è fatto realmente l’essere umano?

Secondo i miei insegnamenti familiari cristiani, da parte di una madre religiosissima che ogni mattina presto andava a seguire la messa sotto casa prima di intraprendere la propria giornata di casalinga, l’uomo è fatto in origine di polvere e in più possiede un’anima a corredo del suo transito terrestre.

Mia madre aveva grande fede, la stessa trasmessami e che mi ha accompagnato fino all’età di diciotto anni, quando compresi che l’uomo era fatto di sì polvere ma anche di acqua, il tutto per fornire un grande impasto, insomma di “fango” e che l’anima una volta ricevuta, ancor prima di ritornare al creatore, sarebbe stata venduta per soldi e per le proprie ambizioni, alla prima occasione.

L’uomo era uomo, prima di tutto e successivamente era un padre di famiglia, un figlio, un prete, un uomo di giustizia, un delinquente e tante altre cose, ma rimaneva sempre prima uomo con i suoi difetti.

Mia madre mi ripeteva sempre che bisognava avere fede, prima di tutto e che ognuno avrebbe fatto i conti con la propria coscienza e che non toccava a noi giudicare.

Mia madre, morì senza poter avere la soddisfazione di avere un funerale nella sua chiesetta dove aveva trascorso in preghiera buona parte della sua vita, poiché erano cambiate le regole degli uomini e non essendo la nostra una parrocchia, non poteva essere sede di un funerale (cosa che di contro avvenne qualche giorno dopo, per un defunto di un gruppo di preghiera che si appoggiava alla stessa chiesetta).

Ciò mi insegnò che anche davanti alla morte non eravamo tutti uguali e allora compresi che non era questa la “chiesa che mi avevano insegnato” e da allora non misi più piede in nessuna chiesa, io e Dio, abbiamo continuato a frequentarci in segreto, ma fuori di quella “casa” che “in nome suo e a suo insaputa” qualcuno aveva profanato con regole legate solo al vile denaro terreno.

Cosa c’è quindi per me dietro l’angolo? Una strada piena di buche che nessuna amm.ne si degna di riparare. Uomini che si vendono al diavolo per pochi spiccioli, indossando la faccia degli sprovveduti. Uomini che si sporcano di continuo per peccati di omissione, gente falsa, spergiura che tira avanti ingannando il prossimo.

Cosa c’è dietro l’angolo? Ci sono sogni e ci saranno fin quando avremo la forza di tenere gli occhi aperti, perché i veri sogni si fanno consapevoli ad occhi aperti. Ci saranno giovani che prenderanno le distanze dai loro padri o meglio si allontaneranno dal mondo che i loro padri hanno costruito basato sul compromesso e andranno via, lontano, fin dove non si è perso ancora il valore dell’intelligenza, della capacità, del titolo di studio e i loro figli a poco, a poco avranno nomi sempre più strani e lontani dalla nostra tradizione, ma vivranno un mondo meno basato sulle quinte ipocrite barocche “dell’ospitalità e partecipazione meridionale”.

I giovani, avranno sempre meno “zii, cugini e compari”, vivranno un mondo apparentemente freddo nei rapporti umani, ma vivranno una qualità della vita irrealizzabile dalle nostre parti, in una società costruita sui bisogni non soltanto delle unità produttive, ma anche di vecchi e bambini.

Cosa c’è dietro l’angolo? Qualcosa che è molto lontana da venire da queste parti e “noi” abbiamo sempre meno tempo davanti.

Un abbraccio, Epruno.

L’Importanza di Possedere un’Agenda

Carissimi

Giunti a una età di tutto rispetto, mi sono chiesto: “cosa è cambiato che cosa ho imparato in tutti questi anni?”

La risposta è “assolutamente nulla” se confrontato con la necessità di continuare a imparare e ancora tanto. Questo mi permetterà di pormi ancora obiettivi e mettere tanta curiosità in tutto ciò che devo ancora fare.

La saggezza mi dà la consapevolezza che è stata una vita come quelle di molti, una sequenza di esperienza costellata di tanti errori, poiché mediamente i momenti negativi sono di più di quelli positivi, se non altro poiché sono quelli che si ricordano più facilmente, mentre i momenti belli, vanno centellinati, celebrati e messi sotto cornice a futura memoria e a futuro conforto e ciò senza attendere che sia il grande Shakespeare a dircelo.

Di una cosa però sono certo, qualunque errore io abbia compiuto questo è nato sempre dalla ostinata complicità con il prossimo e dal non voler dir di no, al volere accontentare qualcuno, o alla paura di poter disattendere le aspettative di  chi in quel momento pensavamo fosse una persona per noi importante, una persona sincera, una persona che avrebbe certamente anteposto l’affetto nei nostri confronti davanti al puro profitto.

Ho imparato un’altra cosa, l’importanza dell’agenda specialmente dalle nostre parti e come l’assenza di questa abbia potuto rovinare non solo la propria esistenza ma addirittura quella di intere comunità, grandi e piccole.

Quello che è una necessità, dover mettere banalmente ordine al nostro tempo, prendere degli impegni, memorizzarli e soprattutto rispettarli, è di contro alla nostra latitudine un fattore insignificante, poiché siamo tutti continentali ed efficienti milanesi in teoria ma praticamente siamo una popolazione di “rifardi”, di “afferra _azzi ntall’aria” e qualche peggio a volte anche di spergiuri.

Attribuiamo al contesto, a qualche cosa che arriva sempre dal di fuori, la causa dei nostri insuccessi diventando deleteri per noi stessi e per il prossimo, ostinandoci a non voler stabilire delle priorità, prendendo più impegni di quanti ne possiamo adempiere e non avendo un progetto di vita, finiamo per credere che il nostro vivere alla giornata nella peggiore delle ipotesi danneggi soltanto noi.

La narrazione che il nostro fallimento sia dovuto a fattori esterni, senza considerare che si è sempre causa dei propri mali, ci distrae dalla consapevolezza che non esiste nulla di raggiungibile se questo non è desiderato e costruito con tanto sudore.

E’ inutile dire che non troveremo mai persone che ci stendano i tappeti rossi davanti i nostri piedi per poter raggiungere in maniera agevole questi nostri risultati, anzi più noi siamo seri, più noi abbiamo un progetto e più diventiamo il nemico numero uno per chi vuole fare della mediocrità il proprio metro di vita.

Ma dove sta scritto che se gli altri sono tutti delinquenti (e loro successo e fonte di ammirazione), se tutti sono mediocri intorno a noi e mantengono le loro posizioni in società, se tutti sono cretini ai nostri occhi, noi si debba diventare delinquenti, mediocri e cretini per vivere?

Si può dire di no, ci si può alzare dal tavolo di gioco quando ancora la perdita è gestibile, si possono cambiare amori, compagnie, squadre, interessi se tutti questi non sono più sani e naturali, si può avere carattere afferrare il pallone con le mani e cominciare a correre inseguito da tutti e alla fine, fare la storia, inventando il “rugby”.

State certi che il baraccone andrà avanti anche senza di noi poiché c’è sempre un nuovo disperato pronto a concedere uno sconto di pochi centesimi pur di accollarsi l’immondizia che stiamo gettando, ma volete mettere la soddisfazione di potersi gustare in serenità su una sdraio un cocktail e guardare liberi un bellissimo tramonto dalle striature rosse.

Un abbraccio, Epruno

Dopo Ogni Distruzione Viene il Tempo della Ricostruzione

Carissimi

La guerra, la morte, la devastazione non sono di certo contesti nei quali trovare spunti che possono sembrare irriverenti, il tempo passa ma il mio punto d’interesse rimane sempre lo stesso, “l’uomo”, l’individuo, con i suoi pregi e difetti su cui poter a volte ironizzare.

Dove c’è la dittatura, non è tollerata la satira, ma sappiamo benissimo che questa è veicolo per trasmettere clandestinamente conforto per chi ha perso tutte le lacrime o per chi fa affidamento alle ultime energie per resistere o per spiegare concetti che a volte sembrano incomprensibili.

Prendete questa frase e conservatela, ci servirà dopo: “dopo ogni distruzione viene il tempo della ricostruzione”.

Prendiamo il personaggio vignettistico interessante, il capo di stato ucraino che tolti i vestiti del ruolo, l’elegante giacca e cravatta, lasciata nei camerini del set della serie televisiva “Servant of the People” (dove da attore interpretava il presidente dell’ucraina), si è creato l’immagine di un novello piccolo Yasser Arafat che indossa i vestiti del combattente, maglioni o mimetica, per andare in giro ospite di tutti gli eventi occidentali culturali o i summit di potenti che (non per i contenuti ma per i risultati) sono ormai declassati a tour organizzati di promozione turistica.

I “personaggi” finiscono per diventare icone mediatiche con i quale tutti vogliono farsi fotografare e vedere, ad iniziare da “Ursula, la donna senza sedia” che ogni volta che lo incontra ha uno slancio pari a quello delle ragazzine che negli anni 60 che aspettavano i Beatles o chi qualche decennio dopo stava a ridosso dei red carpet in attesa dell’arrivo di Richard Gere.

Si giunge finanche a litigare per contendersi l’ospite e questa cosa mi fa immensamente ridere perché mi ricorda episodi di vita relegati ai tempi dell’adolescenza e delle comitive, dove si facevano i sotto gruppi che uscivano insieme all’insaputa degli altri, facendo rimanere male chi restava fuori dall’invito.

Ma di che stiamo a parlare? Addirittura qualche intelligentone, ma soltanto per aprire la finestra in una stanza dove si sta sviluppando un incendio, arriva a dire per fare “spregio” ….. “vedi, non ti hanno invitato perché non conti nulla. Ti ricordi Zio Mario? Lui era lì nel vagone, nel tavolo a tre”.

Se si arriva a contendersi la compagnia del “Mahmood ucraino”, (con il suo “volevi solo soldi….”) siamo messi male, ma seppur decantiamo a Sanremo la nostra Costituzione, parlare male di costui rimane politicamente scorretto, in deroga alla libertà di pensiero.

Non si può non avere solidarietà con una nazione invasa, ma di contro non si può parteggiando, fomentare un odio interno che non porterà mai ad un cessate il fuoco, se non dopo un annientamento e sconfitta di una delle due parti e che comunque avrà prodotto tanti morti e sofferenze.

Ecco, se ci fosse un organismo sovranazionale serio e non un “circolo ricreativo” bloccato dai poteri di veto di un pugno di vincenti nazioni di un confitto conclusosi ottanta anni fa (di cui una, la Francia a detta dei tedeschi, non si potrebbe considerare poi così vincitrice, ma questa è un’altra storia), imporrebbe ai contendenti della guerra per l’invasione della ucraina, il cessate il fuoco, una tregua e un tavolo di trattative per la pace.

L’uomo dai verdi maglioni” avendo accanto lo Zio Sam nei panni “Papa Barzetti” stagionato presidente americano che continua a ripetergli “quanto ti serve, vuoi piccioli, armi” con lo stesso cinico interesse che potrebbe avere uno spacciatore per creare non solo la dipendenza, ma l’usura, si sente catapultato in un negozio di giocattoli e alza la posta delle richieste, come i carrarmati, missili, addirittura aerei bombardieri come se l’iniziale sostegno a quella che doveva essere una resistenza, fosse diventata una vera e propria guerra contro la Russa.

Che fosse diventato anche lui un utile idiota in una guerra tra l’America e la Russia?

Ecco perché mi rimane in tutta questa vicenda tragica (ma ridicola se vista attraverso la valutazione dei soggetti in campo) dietro questa corsa da parte di qualcuno per essere tra i primi a farsi i selfi con il Marchionne dei poveri (vedasi l’uso incondizionato del maglione in qualunque contesto ufficiale) e le offese per non esser stati invitati, il sospetto che il vero interesse è quello di prenotarsi con le proprie imprese nazionali, per la ricostruzione con i contributi internazionali a seguito dei danni di guerra.

Ciò lo hanno chiaro il “gatto e la volpe”, franco tedesco, lo ha chiaro “papa Barzetti”, ovviamente il “segugio d’Albione” ma dovremmo spiegarlo un po’ meglio alla nostra Giorgia o a chi sosteneva che Zio Mario almeno viaggiava nel vagone a tre con il “piccolo Napoleone” e “l’Ulisse tedesco” dimenticando che Zio Mario era il padrone del vagone e mentre la gente continua a morire, invece di imporre con i “grandi del mondo” un cessate il fuoco all’Uomo del Cremlino e al presidente ucraino, noi continuiamo a comprargli i giocattoli di morte.

Un abbraccio, Epruno.