Archivio per la categoria: Editoriale Settimanale

Il Mio Zukunft

Carissimi

Ancor più di un ragazzino sognatore o di un adolescente, oppure di uno studente universitario sono qui a questa età matura a chiedermi ancora che ne sarà del mio futuro.

Proprio oggi, mentre tanti hanno smesso di lottare, mentre molti tirano le somme di vite giunte al capolinea lavorativo, detto pensione, non solo vedo personalmente ormai distante questo traguardo poiché non voglio aderire ad alcun compromesso morale (non vedo perché dovrei farlo proprio adesso), ma ho ancora sogni nel cassetto che potranno riempirmi questo stimato ultimo quarto (in piena facoltà mentale) di vita.

Guardandomi indietro trovo tante di quelle soddisfazioni, esperienze o delusioni, da riempire più vite, forse sette (come i gatti), ma sono ancorato molto nel presente e ciò credetemi condiziona tanto il mio umore poiché se c’è una cosa nel quale questo momento storico si caratterizza è proprio “l’indeterminatezza e il precariato”.

Mai come adesso la scarsezza (e/o assenza) di una classe dirigente, in un paese “non paese”, basato sull’arte dell’arrangiarsi e della sopravvivenza, dell’individualismo puro, dell’egoismo, della raccomandazione, delle scorciatoie rende per tutti, qualunque generazione, una vita di incertezze.

L’ho detto mille volte, non siamo un paese serio, ma ciò che fino ad oggi ci ha permesso di andare avanti, fin dal dopo guerra, è stata la capacità di saper sognare, di poter scommettere sul nostro futuro, di avere la speranza di poterci riuscire e di poter “scontare qualunque cambiale avessimo firmato per il nostro futuro”.

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Mi scusi l’orario

Carissimi

Preparo il fine settimana sistemando carte accumulate nelle scorse settimane sulla mia scrivania.

Trovo il biglietto della colazione, trovo il post-it con il numero di un cellulare non accompagnato dal proprietario che già da subito mi terrorizza, ma sono certo che mi farà impazzire per tutto il fine settimana, nella ricerca mentale di chi possa esserne il padrone, fin quando non deciderò drasticamente di distruggerlo.

Ma mentre faccio ciò, il telefonino sulla scrivania squilla riportando un numero che io non conosco e al quale per tale motivo non rispondo, alimentando il mito che mi accompagna da sempre, cioè “tu non rispondi mai al telefono” che insieme a quello del “tu non ti fai sentire mai” dovrebbe spingermi a provare rossore, vergogne e mortificazione.

Ma scusatemi: “vi ho detto io di inventare il telefonino?” Io ero tranquillo con il duplex appeso in corridoio.

Chi si arroga il diritto di poter contattare chiunque e a qualunque ora? Anche il concetto di telefonino d’ufficio (per chi lo possiede) o personale è completamente scomparso, ormai bisogna difendersi dalle telefonate a qualunque ora e quasi sempre da numeri sconosciuti, come dalle telefonate da numeri anonimi seguiti dal messaggio doppiamente fastidioso: “Ing. Mi scusi l’orario ma le telefono per una cosa di lavoro”.

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Servitore del popolo, per finta?

Carissimi

Che mondo è quello nel quale senti al telegiornale o nei talk con tanta naturalezza che da un momento all’altro può scoppiare una guerra mondiale, nell’attesa di conoscere di che “marca e nazionalità” fosse un missile che sconfinando, aveva ucciso due persone in territorio “NATO”, non appartenente ai due contendenti in conflitto?

Io sono certo che un eventuale annuncio indesiderato, qualora fosse accaduto, sarebbe giunto con una interruzione pubblicitaria, di prodotti pertinenti alle conseguenze di un attacco nucleare, che so, una crema di protezione solare 50 o sarebbe comunque stato accompagnato da una lunga diretta di Mentana, in attesa del lancio e delle esplosioni che avrebbero in sostanza cancellato l’umanità, con i poveri Celata e la Sardoni in esterna sui luoghi, in attesa di polverizzarsi sotto il fungo nucleare.

Si, “diciamolo”, senza necessariamente essere Ignazio, oggi si riesce a confondere il tutto tra realtà e fiction, scopri a volte che attori che recitano in una di queste serie televisive su Netflix o piattaforme similari, riescono ad essere più convincenti di gente che ha cariche politiche, a tal punto che da qualche tempo, per non confondersi, i comici fanno i politici per permettere ai politici di fare i comici.

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A tutto c’è una motivazione

Brunetto figlio di Buonaccorso e nipote di Latino Latini, appartenente ad una nobile famiglia toscana, visse nel mille e duecento, qualche secolo fa.

Dai documenti dell’epoca e da fonti storiche, è testimoniata la sua partecipazione attiva alla vita politica di Firenze e il suo mestiere di notaro.

È certamente appurato che fu inviato alla corte di Alfonso X di Castiglia per chiedere l’aiuto per i Guelfi durante la guerra tra Guelfi e Ghibellini, purtroppo mentre era in missione, sfortunatamente per lui, giunse la notizia del “2” in schedina, causa la vittoria a Montaperti, il 4 settembre 1260 dei Ghibellini e con questa il conseguente invito-consiglio “statti unni sì”.

Seguirono sette anni di esilio nei quali Brunetto si dovette arrangiare a svolgere la sua professione di notaio in Francia, sempre meglio di fare l’usciere al comune.

Il cambio d’aria gli fu propizio e d’ispirazione per scrivere le sue principali opere: il Tresore, il Tesoretto e il Favolello.Non chiedetemi di cosa trattino, certamente avranno avuto per l’epoca una interessata utenza se i loro titoli sono giunti fin ai giorni nostri. I pregiatissimi storici potranno se vorranno correggermi visto che le mie fonti sono del tipo “novella mille e duecento” dell’epoca.  

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“Quest’Anno chi ti Purtaru i Muorti?”

Carissimi

Non mi aspetto più grandi cose positive dalla vita, in più di quelle che fino a qui ho ottenuto, ma essendo condomino di un mondo, non devo limitarmi alla mia visione egoistica delle cose ma vorrei pensare anche alle regole che ci permettono di vivere bene in comunità e allora qualche desiderio l’avrei espresso anche io in questa commemorazione dei defunti.

Vorrei come sempre che il mio paese diventasse più serio e aldilà dei soggetti “eletti” dal popolo chiamati a governare questo paese, mi aspetto un processo continuo di moralizzazione delle strutture di questo paese, un collaudo “tecnico” che giunga alla verifica dei “bulloni” che tengono in piedi la “nave paese”, ai “serraggi”, le “saldature”, la presenza di “corrosioni e ruggini” che ci portiamo dietro da anni e che mortificano il lavoro dei pochi “giusti” che ogni mattina escono da casa per guadagnarsi un tozzo di pane per se e per la loro famiglia, o peggio per vigilare e garantire che questo possa continuare a verificarsi.

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Rieccoci, non cambi mai “perfida Albione”

Carissimi

Mentre ognuno si chiude su stesso e difende quella sola idea o risorsa che possiede, solo chi ha dimostrato nei secoli creatività può oggi avere il coraggio di uscire la testa fuori dal fango che ci ha ricoperto tutti, per tirare fuori altre idee, altre risorse affinché con il dovuto ottimismo, accompagnato da una dose di prudenza, si possa guardare al futuro.

Non può una prima seria difficoltà mettere in crisi un progetto, non può una errata idea di comunità distruggere il sogno, di grandi pensatori, di creare un’unica famiglia europea che mutualizzi gli sforzi, difenda la pace, crei una generazione senza frontiere.

Alle prime difficoltà abbiamo “richiuso le frontiere”, abbiamo pensato agli egoismi nazionali, abbiam mandato all’aria i principi di solidarietà e ci siamo fatti trascinare in un conflitto fornendo armi, in una via che rischia di essere di non ritorno, invece di sforzarci sopra ogni sforzo di diventare operatori di pace costringendo i contendenti a sedersi ad un tavolo e dichiarare tregua.

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Una donna che “pensa differente”

Carissimi

Ho seguito con attenzione in questi giorni le interviste al direttore d’orchestra Beatrice Venezi (già conosciuta in passato perché aveva rifiutato e banalizzato la richiesta di accettare il termine “direttore d’orchestra” al genere, su suggerimento della Boldrini) e oggi tacciata di essere vicina all’On. Meloni e quindi all’ambiente della destra, spattando uno dei teoremi fondanti del “radical-chic pensiero”, artista brava, donna di successo, addirittura anche bella e quindi di sinistra.

Forse, per la prima volta, chi ha vinto ribaltando lo storico primato intellettuale della sinistra, potrà se ci crede, presentarsi con una propria classe dirigente e una rete di consulenti e figure di prestigio (che per logica esisteranno anche se non necessariamente radical-chic) e saprà governare, consapevole che qualora dovesse fallire, avrebbe perso una storica e irripetibile occasione per cambiare il paese.

È giunto quindi il momento, come diceva una pubblicità di una nota casa produttrice di computer, di “pensare differente”. Puliamoci la mente dai ricordi di modelli del passato dimostratisi non più al passo con i tempi e superati. 

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Cosa porterei con me nel futuro? Di certo una penna

Carissimi,

i geni non si arricchiscono, hanno delle idee fantastiche, brevettano invenzioni che cambiano il mondo e non hanno le capacità imprenditoriali per sfruttare la potenzialità delle loro idee.

Quante volte in passato abbiamo sentito dire: “passami la penna Biro”?

Si al tempo, la penna sfera che tutti noi abbiamo sulle nostre scrivanie o addirittura addosso, prendeva il nome dal cognome del suo inventore, László József Bíró.

Ma chi era Ladislao José Bíró? Nacque a Budapest, in Ungheria, il 29 settembre del 1899, in una famiglia di origine ebraica e da giovane fece diversi lavori. Si iscrisse alla facoltà di Medicina, ma al primo anno coltivò una grande passione per la tecnica dell’ipnosi, di grande successo nei primi anni venti del novecento, scoprendo in sé un grande talento come ipnotizzatore e guadagnando molto supportando alcuni medici nel trattamento dei propri pazienti.

Fu così che abbandonò gli studi per dedicarsi ad altre svariate attività, come il pilota di automobili, il doganiere, l’agente di borsa, il pittore di quadri surrealisti, lo scultore e il giornalista.

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Nominato o “Innominato” per me pari sono

Carissimi

Vi ricordate del manzoniano “l’innominato”?

Sembrava proprio che il nome di costui non si potesse “ammuntuare” non perché portasse “attasso”, ma perché era così potente che meglio non nominarlo visto la miriade di nefandezze che costui era in grado di fare passando per impunito e dire che per far ciò si servisse di due “bravi”, ma anche in questo caso non trattavasi di “gente ca sinni sienti”, ma erano “bravi” un po’ come quei burocrati che chi vince le elezioni trova seduti ai posti di comando e non ha il coraggio di spostarli, perché sono “bravi” come se tutti quegli altri che avevano fuori dal cerchio magico in attesa della loro chance lo fossero di meno.

Ciò non di meno e scusate il gioco di parole, mancano sedici giorni alla fine di una campagna elettorale estiva stancante che finirà per essere come quando si fa il “gioco del silenzio”, chi parla ancora perde…

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Generale, la Sua eredità?

Carissimo Generale

Mi permetto in questo anniversario di fare riferimento alla Sua nota lettera, inviata a riscontro di quella pervenutale dagli studenti di un istituto privato cittadino, al Suo arrivo in città e divenuta purtroppo un testamento per noi giovani.

Cosa ne è stato in questi 40 anni, cosa è accaduto nella mia vita, grazie anche alla mia educazione familiare, la formazione di base e i suoi insegnamenti fin qui seguiti pedissequamente?

Innanzi tutto quel giovane, seduto in caserma davanti al Tenente a discutere sulle aspirazioni nella vita, ingegnere lo è diventato veramente.

Ho cercato ed ho trovato subito qualcosa in cui credere, l’importanza del mio ruolo e il rispetto delle istituzioni, l’unico collante per una società civile e ho cercato pure qualcuno in cui credere, ma in questo caso non è stato sempre facile e ho dovuto raccogliere anche delle delusioni. Leggi il resto dell’ articolo »