Archivio per la categoria: Generale

La Mia Giornaliera “Via Crucis”

Carissimi

Per uno come me, cresciuto in una via che si chiama Terrasanta, parlare di “via crucis” e quasi conseguenziale.

Eppure non prendete l’utilizzo di questo nome come blasfemo o addirittura frutto di un pensiero “eretico” se ormai da tempo l’associo al percorso che giornalmente affrontiamo camminando sui nostri marciapiedi o nelle strade, praticamente diventate percorsi di guerra o ridotte peggio di quelle descritte dal commerciante di via Nuova a Goethe nel suo viaggio in quella che fu la città della terra dove fioriscono gli aranci.

Credetemi sono stanco di parlare sempre di questa emergenza che va sempre peggiorando e nessuno prende iniziative, nessuno riparare, nessuno si indigna, nessuno interviene e non basta vedere in eurovisione un giovane ciclista colombiano, nella tappa del giro d’Italia, volare in ospedale, entrando in curva in via Roma, dopo essersi incanalato in uno dei tanti fossi scavatosi subdolamente nell’asfalto, grazie ad un pessimo ripristino o al peso del transito degli autobus.

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L’Importanza di Possedere un’Agenda

Carissimi

Giunti a una età di tutto rispetto, mi sono chiesto: “cosa è cambiato che cosa ho imparato in tutti questi anni?”

La risposta è “assolutamente nulla” se confrontato con la necessità di continuare a imparare e ancora tanto. Questo mi permetterà di pormi ancora obiettivi e mettere tanta curiosità in tutto ciò che devo ancora fare.

La saggezza mi dà la consapevolezza che è stata una vita come quelle di molti, una sequenza di esperienza costellata di tanti errori, poiché mediamente i momenti negativi sono di più di quelli positivi, se non altro poiché sono quelli che si ricordano più facilmente, mentre i momenti belli, vanno centellinati, celebrati e messi sotto cornice a futura memoria e a futuro conforto e ciò senza attendere che sia il grande Shakespeare a dircelo.

Di una cosa però sono certo, qualunque errore io abbia compiuto questo è nato sempre dalla ostinata complicità con il prossimo e dal non voler dir di no, al volere accontentare qualcuno, o alla paura di poter disattendere le aspettative di  chi in quel momento pensavamo fosse una persona per noi importante, una persona sincera, una persona che avrebbe certamente anteposto l’affetto nei nostri confronti davanti al puro profitto.

Ho imparato un’altra cosa, l’importanza dell’agenda specialmente dalle nostre parti e come l’assenza di questa abbia potuto rovinare non solo la propria esistenza ma addirittura quella di intere comunità, grandi e piccole.

Quello che è una necessità, dover mettere banalmente ordine al nostro tempo, prendere degli impegni, memorizzarli e soprattutto rispettarli, è di contro alla nostra latitudine un fattore insignificante, poiché siamo tutti continentali ed efficienti milanesi in teoria ma praticamente siamo una popolazione di “rifardi”, di “afferra _azzi ntall’aria” e qualche peggio a volte anche di spergiuri.

Attribuiamo al contesto, a qualche cosa che arriva sempre dal di fuori, la causa dei nostri insuccessi diventando deleteri per noi stessi e per il prossimo, ostinandoci a non voler stabilire delle priorità, prendendo più impegni di quanti ne possiamo adempiere e non avendo un progetto di vita, finiamo per credere che il nostro vivere alla giornata nella peggiore delle ipotesi danneggi soltanto noi.

La narrazione che il nostro fallimento sia dovuto a fattori esterni, senza considerare che si è sempre causa dei propri mali, ci distrae dalla consapevolezza che non esiste nulla di raggiungibile se questo non è desiderato e costruito con tanto sudore.

E’ inutile dire che non troveremo mai persone che ci stendano i tappeti rossi davanti i nostri piedi per poter raggiungere in maniera agevole questi nostri risultati, anzi più noi siamo seri, più noi abbiamo un progetto e più diventiamo il nemico numero uno per chi vuole fare della mediocrità il proprio metro di vita.

Ma dove sta scritto che se gli altri sono tutti delinquenti (e loro successo e fonte di ammirazione), se tutti sono mediocri intorno a noi e mantengono le loro posizioni in società, se tutti sono cretini ai nostri occhi, noi si debba diventare delinquenti, mediocri e cretini per vivere?

Si può dire di no, ci si può alzare dal tavolo di gioco quando ancora la perdita è gestibile, si possono cambiare amori, compagnie, squadre, interessi se tutti questi non sono più sani e naturali, si può avere carattere afferrare il pallone con le mani e cominciare a correre inseguito da tutti e alla fine, fare la storia, inventando il “rugby”.

State certi che il baraccone andrà avanti anche senza di noi poiché c’è sempre un nuovo disperato pronto a concedere uno sconto di pochi centesimi pur di accollarsi l’immondizia che stiamo gettando, ma volete mettere la soddisfazione di potersi gustare in serenità su una sdraio un cocktail e guardare liberi un bellissimo tramonto dalle striature rosse.

Un abbraccio, Epruno

Dopo Ogni Distruzione Viene il Tempo della Ricostruzione

Carissimi

La guerra, la morte, la devastazione non sono di certo contesti nei quali trovare spunti che possono sembrare irriverenti, il tempo passa ma il mio punto d’interesse rimane sempre lo stesso, “l’uomo”, l’individuo, con i suoi pregi e difetti su cui poter a volte ironizzare.

Dove c’è la dittatura, non è tollerata la satira, ma sappiamo benissimo che questa è veicolo per trasmettere clandestinamente conforto per chi ha perso tutte le lacrime o per chi fa affidamento alle ultime energie per resistere o per spiegare concetti che a volte sembrano incomprensibili.

Prendete questa frase e conservatela, ci servirà dopo: “dopo ogni distruzione viene il tempo della ricostruzione”.

Prendiamo il personaggio vignettistico interessante, il capo di stato ucraino che tolti i vestiti del ruolo, l’elegante giacca e cravatta, lasciata nei camerini del set della serie televisiva “Servant of the People” (dove da attore interpretava il presidente dell’ucraina), si è creato l’immagine di un novello piccolo Yasser Arafat che indossa i vestiti del combattente, maglioni o mimetica, per andare in giro ospite di tutti gli eventi occidentali culturali o i summit di potenti che (non per i contenuti ma per i risultati) sono ormai declassati a tour organizzati di promozione turistica.

I “personaggi” finiscono per diventare icone mediatiche con i quale tutti vogliono farsi fotografare e vedere, ad iniziare da “Ursula, la donna senza sedia” che ogni volta che lo incontra ha uno slancio pari a quello delle ragazzine che negli anni 60 che aspettavano i Beatles o chi qualche decennio dopo stava a ridosso dei red carpet in attesa dell’arrivo di Richard Gere.

Si giunge finanche a litigare per contendersi l’ospite e questa cosa mi fa immensamente ridere perché mi ricorda episodi di vita relegati ai tempi dell’adolescenza e delle comitive, dove si facevano i sotto gruppi che uscivano insieme all’insaputa degli altri, facendo rimanere male chi restava fuori dall’invito.

Ma di che stiamo a parlare? Addirittura qualche intelligentone, ma soltanto per aprire la finestra in una stanza dove si sta sviluppando un incendio, arriva a dire per fare “spregio” ….. “vedi, non ti hanno invitato perché non conti nulla. Ti ricordi Zio Mario? Lui era lì nel vagone, nel tavolo a tre”.

Se si arriva a contendersi la compagnia del “Mahmood ucraino”, (con il suo “volevi solo soldi….”) siamo messi male, ma seppur decantiamo a Sanremo la nostra Costituzione, parlare male di costui rimane politicamente scorretto, in deroga alla libertà di pensiero.

Non si può non avere solidarietà con una nazione invasa, ma di contro non si può parteggiando, fomentare un odio interno che non porterà mai ad un cessate il fuoco, se non dopo un annientamento e sconfitta di una delle due parti e che comunque avrà prodotto tanti morti e sofferenze.

Ecco, se ci fosse un organismo sovranazionale serio e non un “circolo ricreativo” bloccato dai poteri di veto di un pugno di vincenti nazioni di un confitto conclusosi ottanta anni fa (di cui una, la Francia a detta dei tedeschi, non si potrebbe considerare poi così vincitrice, ma questa è un’altra storia), imporrebbe ai contendenti della guerra per l’invasione della ucraina, il cessate il fuoco, una tregua e un tavolo di trattative per la pace.

L’uomo dai verdi maglioni” avendo accanto lo Zio Sam nei panni “Papa Barzetti” stagionato presidente americano che continua a ripetergli “quanto ti serve, vuoi piccioli, armi” con lo stesso cinico interesse che potrebbe avere uno spacciatore per creare non solo la dipendenza, ma l’usura, si sente catapultato in un negozio di giocattoli e alza la posta delle richieste, come i carrarmati, missili, addirittura aerei bombardieri come se l’iniziale sostegno a quella che doveva essere una resistenza, fosse diventata una vera e propria guerra contro la Russa.

Che fosse diventato anche lui un utile idiota in una guerra tra l’America e la Russia?

Ecco perché mi rimane in tutta questa vicenda tragica (ma ridicola se vista attraverso la valutazione dei soggetti in campo) dietro questa corsa da parte di qualcuno per essere tra i primi a farsi i selfi con il Marchionne dei poveri (vedasi l’uso incondizionato del maglione in qualunque contesto ufficiale) e le offese per non esser stati invitati, il sospetto che il vero interesse è quello di prenotarsi con le proprie imprese nazionali, per la ricostruzione con i contributi internazionali a seguito dei danni di guerra.

Ciò lo hanno chiaro il “gatto e la volpe”, franco tedesco, lo ha chiaro “papa Barzetti”, ovviamente il “segugio d’Albione” ma dovremmo spiegarlo un po’ meglio alla nostra Giorgia o a chi sosteneva che Zio Mario almeno viaggiava nel vagone a tre con il “piccolo Napoleone” e “l’Ulisse tedesco” dimenticando che Zio Mario era il padrone del vagone e mentre la gente continua a morire, invece di imporre con i “grandi del mondo” un cessate il fuoco all’Uomo del Cremlino e al presidente ucraino, noi continuiamo a comprargli i giocattoli di morte.

Un abbraccio, Epruno.

«Whatever it Takes» – Bignami di Politica di Politica per Gente Scappata di Casa

Carissimi

Mi verrebbe da chiedere “Zio Mario dove sei?”

Atteso che da sempre e dichiaratamente il sottoscritto non capisce nulla di politica, come tutti gli “scappati di casa” (gente semplice) son corso ai ripari con la frequenza di un corso serale sull’argomento e utilizzando gli appunti presi, ho fatto queste breve guida (una sorta di piccolo Bignami) che potrà tornare utile a chi come me, dopo tanti anni stenta a capire e continua a fare lo stesso errore, dando fiducia spesso mal riposta. Iniziamo con le definizioni.

Scopo della politica – Come ci si può innamorare della nostra politica italiana, se puoi anche dimezzare i parlamentari, (farli nominare da pochi padri nobili), per constatare alla fine che c’è sempre un paese reale che ha i suoi problemi e un’aula (due per esattezza) dove nel frattempo i deputati e senatori discutono dei grandi sistemi, lontani dai problemi quotidiani della gente comune, e così bravi da inventarsi un argomento, offendersi a vicenda ed iniziare una dialettica interminabile che come sempre serve alla cosa più importante in politica (per me che non ne capisco nulla), “far passare il tempo”?

Il politico – Ci si innamora di una idea, si mitizza un uomo politico attribuendogli chi sa quale spessore e bagaglio ideologico, per poi rassegnarsi all’idea che sempre con un mestierante abbiamo a che fare, poiché se c’è un compenso, anche se chiamato “indennizzo”, non possiamo parlare di volontariato. Leggi il resto dell’ articolo »

“U Sa Fari a Chimenti?”

“U sa fari a Chimenti?”

Questa era la domanda frequente verso la fine degli anni settanta quando i ragazzini giocavano per strada con il pallone evocando i campioni del calcio.

Ma chi era Chimenti e soprattutto cosa significava “fare Chimenti?

Chimenti Vito da Bari, nella stagione 1977-1978 proveniente dal Matera giunge al Palermo in serie B, dove gioca due stagioni ad alto livello con 29 reti complessive.

Grazie anche ai suoi goal, la squadra rosanero otterrà un sesto e un settimo posto.

Cosa significava “fare Chimenti?

Pochi sanno che per il popolo di fede rosa-nero, l’inventore della bicicletta è stato Vito Chimenti e poco importa se nel resto del mondo tutti attribuiscono al barone Karl Von Drais, da Baden in Germania l’invenzione nel 1817 della “draisina”, la prima bicicletta antesiniana, ma a Palermo a parlar di bicicletta ancorchè di Totò Cannatella, si doveva parlare di Chimenti, con il famoso suo gesto tecnico, “pallone alzato di tacco da dietro per superare l’avversario con un pallonetto” battezzato la “bicicletta”, che faceva impazzire lo Stadio della Favorita.

Fare Chimenti”, significava fare il gesto tecnico della “bicicletta”. Per molto tempo tutti i più famosi difensori delle squadre avversarie, subirono la “bicicletta” fin quando un terzinaccio di mestiere, alle sue ultime partite in carriera, di nome Ubaldo Spanio da Chioggia, con la maglia del Varese, non ne neutralizzò l’effetto aiutato dalle immagini più volte riprodotte da Bruno Pizzul con la sua “moviola”, pazzo per il gesto tecnico di colui che chiamava il “torello del Palermo”, a causa del suo fisico tracagnotto per nulla assimilabile a quello dei grandi centravanti del momento.

Ma non finisce qui ….. la presenza nel Palermo di Chimenti, viene segnata da un mistero legato alla sua partecipazione alla finale di Coppa Italia 1978-1979, dove con un suo gol al primo minuto di gioco, il Palermo passa in vantaggio perdendo poi la partita, dopo esser stato raggiunto in 11 contro 10, da un goal di Brio a 9 minuti dal termine e superato nei tempi supplementari da un definitivo goal di Causio.

Chimenti in quell’incontro, dopo aver fatto impazzire la difesa per 45 minuti viene sostituito durante l’intervallo inspiegabilmente, si dirà successivamente a causa di un infortunio procurato da Cabrini.

La domenica successiva, appena a quattro giorni di distanza, con il Taranto nell’ultima partita della stagione, Chimenti risulterà regolarmente in campo ma inizierà a manifestare malumori chiedendo di esser ceduto a fine stagione. ”

(Da Leggendo Epruno 4 – “Le Vite degli Altri” di Epruno andato in scena il 20/10/2015 al Teatro Ditirammu nelle rassegna, “Ditirammu d’Autore” e il 12/06/2016 sempre al Teatro Ditirammu nella “Mini Rassegna di Leggendo Epruno”).

Il mio ricordo è arricchito dalla circostanza che grazie all’amico giornalista Gaetano Perricone, che in una delle due serate al Ditirammu lesse questo brano, Vito Chimenti ricevette il testo e si commosse tanto per esser diventato “oggetto di narrazione” e quindi volle chiedermi l’amicizia su facebook per ringraziarmi personalmente, con la promessa che ci saremmo incontrati di persona alla prima occasione.

Sognavo una ulteriore replica con lui in sala, addirittura sul palco ma purtroppo oggi devo registrare soltanto la sua assenza con profondo dolore da tifoso rosanero e da individuo che con poche righe aveva avuto l’ambizione di consegnare a futura memoria quello che a Palermo resterà per sempre “l’inventore della bicicletta”.

Un abbraccio, Epruno.

A tutto c’è una motivazione

Brunetto figlio di Buonaccorso e nipote di Latino Latini, appartenente ad una nobile famiglia toscana, visse nel mille e duecento, qualche secolo fa.

Dai documenti dell’epoca e da fonti storiche, è testimoniata la sua partecipazione attiva alla vita politica di Firenze e il suo mestiere di notaro.

È certamente appurato che fu inviato alla corte di Alfonso X di Castiglia per chiedere l’aiuto per i Guelfi durante la guerra tra Guelfi e Ghibellini, purtroppo mentre era in missione, sfortunatamente per lui, giunse la notizia del “2” in schedina, causa la vittoria a Montaperti, il 4 settembre 1260 dei Ghibellini e con questa il conseguente invito-consiglio “statti unni sì”.

Seguirono sette anni di esilio nei quali Brunetto si dovette arrangiare a svolgere la sua professione di notaio in Francia, sempre meglio di fare l’usciere al comune.

Il cambio d’aria gli fu propizio e d’ispirazione per scrivere le sue principali opere: il Tresore, il Tesoretto e il Favolello.Non chiedetemi di cosa trattino, certamente avranno avuto per l’epoca una interessata utenza se i loro titoli sono giunti fin ai giorni nostri. I pregiatissimi storici potranno se vorranno correggermi visto che le mie fonti sono del tipo “novella mille e duecento” dell’epoca.  

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Rieccoci, non cambi mai “perfida Albione”

Carissimi

Mentre ognuno si chiude su stesso e difende quella sola idea o risorsa che possiede, solo chi ha dimostrato nei secoli creatività può oggi avere il coraggio di uscire la testa fuori dal fango che ci ha ricoperto tutti, per tirare fuori altre idee, altre risorse affinché con il dovuto ottimismo, accompagnato da una dose di prudenza, si possa guardare al futuro.

Non può una prima seria difficoltà mettere in crisi un progetto, non può una errata idea di comunità distruggere il sogno, di grandi pensatori, di creare un’unica famiglia europea che mutualizzi gli sforzi, difenda la pace, crei una generazione senza frontiere.

Alle prime difficoltà abbiamo “richiuso le frontiere”, abbiamo pensato agli egoismi nazionali, abbiam mandato all’aria i principi di solidarietà e ci siamo fatti trascinare in un conflitto fornendo armi, in una via che rischia di essere di non ritorno, invece di sforzarci sopra ogni sforzo di diventare operatori di pace costringendo i contendenti a sedersi ad un tavolo e dichiarare tregua.

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Aspetterò il treno dopo, è troppo affollato

Carissimi

Mi trovo in una ipotetica stazione di metropolitana dove avendo aspettato per tanto tempo il mio treno, abbondantemente in ritardo, una volta sopraggiunto e vistolo stracolmo di gente, tanto che le portiere fanno difficoltà ad aprirsi, decido di non prenderlo, rischiando e a questo punto scommettendo sull’arrivo del treno successivo che una volta scaricato il ritardo sul precedente, dovrebbe essere più vuoto, o moderatamente pieno come da prassi garantendo a tutti il loro giusto confort.

Probabilmente questa mia impressione è condivisa da qualcuno di voi, ma da persona libera di pensiero ho avuto tanta sofferenza in passato per come questo paese si sia immobilizzato e impegnato in sterili discussioni che hanno favorito la sola dialettica dando prova che il nostro non è un popolo, diviso da sempre su tutto e tutti, assemblato a tavolino su rimembranze geografiche dell’epoca latina e da sempre frazionato nella difesa dei campanili.

Non siamo un paese serio, quante volte ce lo siamo detti, pochi furbi da posizioni privilegiate ambiscono a governare il pensiero collettivo e puntualmente quando giunge il momento elettorale costoro rimangono sconfitti dalla volontà popolare che si assottiglia sempre di più.

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Una donna che “pensa differente”

Carissimi

Ho seguito con attenzione in questi giorni le interviste al direttore d’orchestra Beatrice Venezi (già conosciuta in passato perché aveva rifiutato e banalizzato la richiesta di accettare il termine “direttore d’orchestra” al genere, su suggerimento della Boldrini) e oggi tacciata di essere vicina all’On. Meloni e quindi all’ambiente della destra, spattando uno dei teoremi fondanti del “radical-chic pensiero”, artista brava, donna di successo, addirittura anche bella e quindi di sinistra.

Forse, per la prima volta, chi ha vinto ribaltando lo storico primato intellettuale della sinistra, potrà se ci crede, presentarsi con una propria classe dirigente e una rete di consulenti e figure di prestigio (che per logica esisteranno anche se non necessariamente radical-chic) e saprà governare, consapevole che qualora dovesse fallire, avrebbe perso una storica e irripetibile occasione per cambiare il paese.

È giunto quindi il momento, come diceva una pubblicità di una nota casa produttrice di computer, di “pensare differente”. Puliamoci la mente dai ricordi di modelli del passato dimostratisi non più al passo con i tempi e superati. 

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Cosa porterei con me nel futuro? Di certo una penna

Carissimi,

i geni non si arricchiscono, hanno delle idee fantastiche, brevettano invenzioni che cambiano il mondo e non hanno le capacità imprenditoriali per sfruttare la potenzialità delle loro idee.

Quante volte in passato abbiamo sentito dire: “passami la penna Biro”?

Si al tempo, la penna sfera che tutti noi abbiamo sulle nostre scrivanie o addirittura addosso, prendeva il nome dal cognome del suo inventore, László József Bíró.

Ma chi era Ladislao José Bíró? Nacque a Budapest, in Ungheria, il 29 settembre del 1899, in una famiglia di origine ebraica e da giovane fece diversi lavori. Si iscrisse alla facoltà di Medicina, ma al primo anno coltivò una grande passione per la tecnica dell’ipnosi, di grande successo nei primi anni venti del novecento, scoprendo in sé un grande talento come ipnotizzatore e guadagnando molto supportando alcuni medici nel trattamento dei propri pazienti.

Fu così che abbandonò gli studi per dedicarsi ad altre svariate attività, come il pilota di automobili, il doganiere, l’agente di borsa, il pittore di quadri surrealisti, lo scultore e il giornalista.

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