Carissimi,
È in questo periodo che prendiamo in mano gli scatoloni con vecchi ricordi o foto del passato con l’ambizione di fare spazio ma poi non buttiamo nulla. Mettere ordine nella nostra vita (quanto meno la buona intenzione) ci rilassa, ma poi finiamo per farci prendere da quel legame morboso che abbiamo con il passato.
Se solo sapessimo vivere il rapporto con il passato con la giusta lucidità eviteremmo che questo rimanga costante nel nostro presente soltanto per danneggiare il nostro futuro.
Il passato non torna, le minestre non si riscaldano pretendendo che queste mantengano lo stesso sapore dell’istante della loro preparazione, le belle esperienze geo localizzate e temporalmente fissate, non saranno mai le stesse.
Ecco perché, lo dico apertamente, ma lo avrete capito già tutti, io non credo nei “ritorni al futuro” specialmente in amore e in politica, sto tentando ancora di comprendere cosa spinge la massa ad affidarsi ad un usato sicuro per poi lamentarsi in continuazione.
Forse la paura del futuro? La paura di crescere? La paura del nuovo? La paura del diverso? Insomma, la paura?
Il passato ci coccola perché ne cambiamo gli esiti, ricordando cosa ci fa comodo e seppellendo ciò che ci ha ferito.
Non riusciamo ad essere onesti neanche con noi stessi. Il prossimo sbaglia perché è umano e sbaglia sempre allo stesso modo, sia che esso è sottoposto davanti a piccole cose o davanti a grandi problemi.
Quante volte ci è capitato di essere traditi nei nostri affetti, non necessariamente in situazioni sentimentali ma anche nelle semplici amicizie.
Siamo stati male pensando “da “lui/lei” questo non me lo aspettavo”, per far ciò deve essere necessariamente impazzito o chi sa chi lo governa e invece non c’è nulla di tutto questo dietro, il “lui/lei” è stato sempre così e noi ci siamo rifiutati di vederlo sotto questa veste, eravamo distratti nel prendere ciò che a noi facesse comodo.
Quindi fare le vittime, non ci rende credibili.
Eppure siamo qui a lamentarci di tutto e dei brutti periodi. Ma abbiamo contezza di cosa siano stati i veri brutti periodi?
Ci furono tempi in cui andavamo in giro con le toppe nel sedere per necessità e non per moda, ma avevamo deciso di dare fiducia ad una classe dirigente formatasi durante la guerra che ci ha permesso di ripartire.
Quando mi laureai ero ancora statisticamente una mosca bianca tra i miei amici che in quella classe medio borghese o operaia, arrivavano appena a diplomarsi a spizzichi e bocconi.
Oggi vedo le loro foto con i capelli argentati, accanto ai figli con la corona d’alloro o i simboli anglosassoni della laurea e penso che non stiamo così male se il sistema ci ha permesso di migliorarci generazione dopo generazione.
Il problema se mai sta nella classe dirigente alla quale oggi abbiamo dato fiducia e se posso fare una forzatura nel ragionamento, nella “latitanza” che hanno scelto le persone dotate e di spessore, rifuggendo da qualunque incarico politico e istituzionale, lasciando che fossero i furbi a scegliere i mediocri per perpetrare la fabbrica del bisogno.
Quella generazione dai grigi cappottoni ci ha permesso di portare i nostri figli a laurearsi, questa che il cappottone lo può soltanto sognare, ci lascia i nostri figli nel precariato o peggio ce li rende emigranti di lusso, per fare in modo che i loro figli nella massima mediocrità (formati nelle migliori università straniere) alterando anche la giusta competizione, possano avere un futuro qua, nei posti di comando o ancora meglio, possano spendersi nel mondo avvantaggiati.
Allora il problema sta sempre lì e mi ritorna in mente Kennedy con il suo “non chiedetevi cosa possa fare l’America per voi, ma chiedetevi cosa potete fare voi per l’America”.
Pur non essendo americani possiamo farne tesoro sapendo che la prima delle moderne “colpe” è sempre quella in “eligendo”, nella scelta che noi facciamo delle persone, la seconda di pari dignità è quella in “vigilando” affinché le nostre aspettative vengano rispettate. Continuate a rimanere a casa, o a votare con sufficienza e disinformazione, continuate a farcirvi il cervello con dibattiti artefatti e tutti uguali del tipo “io l’ho fatto parlare, ma se lei non mi fa parlare…” Un abbraccio, Epruno