Carissimi

Certo i giapponesi sono un popolo strano e affascinante, lontano non solo chilometricamente da noi, ma lontano dalla nostra cultura, una miscela perfetta di innovazioni tecnologiche e custodia delle antiche tradizioni.

Una società legata al rispetto dei ruoli, dell’onore, della parola data, insomma una società così rigorosa nei principi da far sembrare quella siciliana che si riempie la bocca degli stessi termini una parodia.

Con questo non voglio dire che sono perfetti, anche loro hanno i propri difetti, anche loro fanno i propri errori, anche gli scienziati giapponesi sbagliano, basta soltanto pensare a quanti sono i bambini nati seguendo scrupolosamente il metodo contraccettivo di “knausogino”, ma che volete, questi sono effetti collaterali, ma di contro se a loro affidate un impegno d’onore, credetemi, pur di dare la propria vita, costoro la portano a compimento.

Non so quanti di voi hanno mai sentito parlare di Hiroo Onoda un personaggio che se la sua storia non fosse legata a reali fatti di guerra, potrebbe essere evocato nelle barzellette con l’espressione “non mi arrendo”.

Un militare Giapponese che nella seconda guerra mondiale, addestrato come guerrigliero, nella sua difesa contro qualunque sbarco, rimase fedele alle consegne, in una piccola isola nel pacifico, nascondendosi nella giungla per quasi 30 dalla fine della guerra, fin quando nel 1974 venne arrestato poiché si rifiutava di credere che la guerra fosse finita.

Hiroo, dicevamo, fu inviato il 26 dicembre 1944 nell’isola di Lubang nelle Filippine, con il compito, insieme con i soldati già presenti, di ostacolare l’avanzata nemica e soprattutto aveva ricevuto l’ordine di non arrendersi, a costo della sua stessa vita.

Quando nel 1945 l’isola subì un attacco nemico che fini per annientare le milizie nipponiche Onoda con tre commilitoni si nascosero tra le montagne, il primo dei quali nel 1949 decise (per fortuna) di arrendersi subito (si fa per dire) dando testimonianza della presenza di altri tre soldati nella giungla da riportare alla realtà.

Fu così che nel 1952 venne fatto un primo tentativo di lanciare da un aereo lettere e foto di famiglia per cercare di convincere i soldati fantasma a cessare ogni ostilità, ma figuratevi se la notizia fu presa sul serio dai tre convinti che la propaganda fosse arrivata fino a quel punto.

Onoda e i suoi compagni rimasero sull’isola, continuando la missione e combattendo contro gli abitanti, nascondendosi nella giungla e vivendo di furti di viveri e razzie ni confronti degli abitanti filippini e fu proprio a causa di queste scorribande che in due diversi conflitti a fuoco i suoi compagni rimasero uccisi.

Onoda rimase quindi da solo e da quel momento furono diversi i tentativi di rintracciarlo, non ci bastarono nel 1972 un tentativo della sorella e degli amici e nel 1973 un tentativo del padre, ma figuratevi se il nostro Hiroo fosse propenso a farsi convincere, a testa sua doveva essere l’imperatore in prima persona a dirgli che la guerra fosse finita, una cosa facile penserete voi.

Ma i giapponesi sono ostinati e chi potevano mandare se non un soldato che di cognome facesse Suzuki? Costui il 20 febbraio 1974, dopo quattro giorni di ricerche ritrovò Onoda e tornando in Giappone con le foto del militare, persuase l’ufficiale diretto superiore di Hiroo, il maggiore Taniguchi, a recarsi sull’isola per convincerlo.

Dovette scomodarsi il presidente filippino Marcos, al quale il militare giapponese si arrese direttamente e tornando in Giappone venne accolto con tutti gli onori dal governo, ma poveraccio, il mondo era cambiato e non si riuscì a riambientare nella sua terra e all’età di 54 anni, due anni dopo, emigrò in Brasile dove fini per fare l’allevatore di bestiame e sposarsi con Machie Onoku, un’insegnante della cerimonia del tè giapponese, scrisse un libro sui suoi anni nella giungla, intitolato guarda caso “non mi arrendo”.

L’ultima parte della sua vita la dedicò all’insegnamento ai bambini, tornando in Giappone nel 1984 e fondando una scuola Shizen Juku Onoda (“Scuola Naturale Onoda”) e successivamente ebbe modo di ritornare a Lubang, per fare una generosa donazione ad una scuola elementare quasi per volersi fare perdonare le nefandezze fatte durante gli anni della guerriglia sulla popolazione dell’isola.

La sua storia si concluse all’età di 96 anni in un ospedale a Tokyo per insufficienza cardiaca.

Perché parlare di Onoda, perché penso spesso a lui in uno dei miei tanti momenti in cui rimango con una consegna in un mondo che intorno a me cambia di continuo interlocutori e rimango il solo a custodire la memoria delle cose nell’attesa che qualcuno mi dia uno scossone o mi venga a cercare ricordandosi di me per dirmi. Coraggio, consegnami la sciabola, perché la guerra è finita.

Un abbraccio, Epruno.