Carissimi, perché non mi appassiono più alle vicende elettorali?

In realtà non ho mai trovato grande trasporto per la materia, in passato mi sono cimentato con successo nelle competizioni degli organismi di rappresentanza professionale, ma anche lì non ho nascosto un certo disagio nel dover essere invasivo della privacy di colleghi, specialmente di coloro che non conoscevo, per acquisire la loro fiducia, ma erano dinamiche diverse e seppur non sia passato tanto tempo, potremmo cominciare a parlare di tempi diversi.

Le leggi elettorali amministrative sono andate sempre più verso l’emulazione delle monarchie, in alcuni casi assolutistiche, in altre nepotistiche, allontanandosi dal principio di base della rappresentatività. Ho sempre pensato che un Parlamento, un consiglio, dovessero sempre essere rappresentative proporzionalmente della popolazione da governare e non trovo alcuna logica, in funzione della tanto auspicata governabilità, l’azzeramento delle minoranze e gli sbarramenti. Non trovo logico che chi prenda più voti degli altri, seppur di poco e con una bassa percentuale di votanti, prenda tutto, lasciando gli altri da spettatori, mediamente per cinque anni.

Che passione può avere chi rimane escluso, per un sistema a pieno appannaggio dei vincenti? A mio parere la stesso che si può nutrire per la vita privilegiata delle famiglie reali, quella vita guardata attraverso un diaframma trasparente e senza possibilità alcuna di partecipazione.

Perché le masse dovrebbero spendersi per far stare bene i pochi? Soltanto coloro organici che sperano nell’elezione del “monarca” possono trovare interesse nel darsi da fare per eleggerlo e trovare passione per questo gioco? Le minoranze, a maggior ragione quelle che difendono enclave di pensiero, rimarranno a guardare nella massima indifferenza o portando avanti candidati di bandiera che non andranno da nessuna parte.

Gli altri ancora, la gente comune arriverà a chiederti: “È per me cosa c’è?”
Direte: “Ma che idea hai della cosa pubblica?”

Ho grande stima della cosa pubblica e penso anche che la pubblica amministrazione sia una cosa seria poiché dovrebbe amministrare il nostro vivere in collettività, ma lo ammetto, come tanti ho nostalgia della concertazione che portava i delegati eletti, a eleggere a sua volta il loro sindaco, il loro presidente, i loro assessori, quale frutto della mediazione tra la rappresentatività percentuale dei votanti. Da quelle mediazioni ne venivano fuori sempre una partecipazione e una suddivisione delle cariche e degli incarichi che coinvolgeva e responsabilizzava la collettività.

Non ho vergogna a pensare a quando “quel sole spuntava per tutti” se l’alternativa è “un sole per il solo vincente”.
Questa è una mia idea, io non esterno verità assolute, con questo sistema al tempo criticatissimo, ma che accontentava tutti, abbiamo ricostruito l’Italia del dopo guerra, abbiamo governato l’Italia del boom economico e abbiamo portato avanti un’Italia che seppur con le pezze nel culo, sapeva sognare e la gente era disposta a scommettere sul proprio futuro e costruire attorno alle cambiali un miglioramento sociale.

Oggi, nessuno sogna più, oggi c’è tanto scoramento, c’è molta diffidenza, però abbiamo messo in atto un sistema, dove chi vince “pensa a tutto lui” e dopo un poco e pronto a dire “si fa come dico io e basta”, quando costui e partito alla stessa maniera degli altri, senza alcun aristocratico privilegio divino.

C’è niente di male se il sottoscritto non avendo alcun interesse personale da difendere o acquisire, guardo senza appassionarmi questo “periodico concorso” che cambierà la vita di pochi?

Quello che è male è la circostanza che ormai sono in tanti a pensarla come me, vista la disillusione che chiunque giunga lassù, con questi metodi e spesso senza alcuna gavetta, possa trovare il tempo ed essere determinante nell’incidere positivamente sulle sorti della nostra terra.

Un abbraccio Epruno.