Carissimi …. In un momento politico nel quale tra le tante esigenze c’è una grande richiesta di semplificazione burocratica, chi penserà a semplificare la lingua italiana? Chi farà in modo che Dante non continui a rivoltarsi nella sua tomba? Era soltanto il Marzo del 960 (senza mille), in quel di Capua quando le parti nel sancire un contratto scrivevano: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”. Vi chiederete, in modo più o meno “volgare e non vulgare: ma cosa vorrà dire?” E ciò è rimane comprensibile, ma perché ancora oggi a distanza di mille e cinquanta anni, in italiano, debba usarsi quella lingua piena di espressioni arcaiche, scritte soltanto per confondere l’interlocutore, assumere un tono e manifestare un serioso potere? E dire che la chiesa dopo il Concilio Vaticano II, aveva aperto la strada alla semplificazione linguistica, attraverso l’abolizione del “latino” dalle celebrazioni eucaristiche di ogni giorno, facendo in modo che le povere pie vecchiette non imparassero soltanto a memoria una litania, ma capissero anche il celebrante! I nostri anziani saggi, non per nulla forgiarono il proverbio “ammuccia lu latinu gnuranza di parrinu”, nel quale manifestavano il fondato sospetto di desinenze usate male, ma addirittura di citazioni inventate o usate a sproposito. Ma torniamo a “questa mia” e alle note che fanno sfoggio di termini quali “altresì, all’uopo, diconsi, significare, adire, derivante da”.
E che dire dei “distinti saluti”, conclusione di qualunque nota aggressiva ma che comunque lascia spazio conclusivo al “cogliere l’occasione per porgere distinti saluti”. Sono termini ed espressioni che “lo scrivente” alternatamente al sinonimo, già di suo parola difficile, “sottoscritto” usa in questo linguaggio poco fluente per prendere le distanze, “nell’immediato”, dalla collettività.
E quante volte leggiamo del “predetto o sopracitato” o quante volte abbiamo “letto a margine” o ancor meglio “nell’oggetto”?
Per non dire inoltre di coloro che si son persi nell’interpretazione di sigle quali “e p.c.” con la guerra continua con il correttore automatico del programma di video scrittura, oppure “p.v.”, “c.m.” ed “u.s.”. Ma quale sforzo dietro l’accettazione di termini quali “ipovedente, ossia chi ci vidi picca”, “audioleso, colui che nun ci sienti”, “operatore ecologico, al posto di netturbino, o più semplicemente, spazzino e per i più crudi, munnizzaru”. Quante zuffe sugli autobus tra i controllori ed i controllati che non “obliteravano” il biglietto, poiché neanche sapevano di cosa si stesse parlando. A testimonianza di ciò, ieri Salvatore, intercettatomi davanti alla sua bottega, con fare circospetto mi allunga una lettera con su citato: “vengo con questa mia a rappresentarLe che qualora entro la data succitata …. la mia assistita adirà le vie legali”, “Dottore, ma chi significa? Ma questa sua, cu ci l’ha taliatu mai? ….” E la conversazione sarebbe continuata con una lunga serie di epiteti, metafore, riguardanti le parentele e la vocazione atavica della proprietaria del locale limitrofo alla bottega del nostro amico barbiere, a “deflagrare gli organi genitali”. Tutto ciò per non scrivere: “con questa lettera le dico che se entro una settimana non provvederà, la denunzio”. E si, il popolo, ha bisogno di semplicità e chiarezza .……Un abbraccio, Epruno.