Per noi che siamo cresciuti in bianco e nero prima di conoscere il colore, per noi che abbiamo imparato fin da piccoli a distinguere il contrasto tra il bianco e il nero pur apprezzando le sfumature di grigio e viviamo oggi un certo disagio nel percepire una realtà multicolore e sentirci obbligati a “vedere” le cose escludendo dallo spettro visivo una moltitudine di colori.

Paradossalmente quello che era il nitido bianco e nero finisce oggi per esser forzatamente sostituito da “il rosso e il nero” che certamente non è quello di Stendhal.

Siamo cresciuti per strada, perché alle mie latitudini insulari mediterranee il clima permetteva di poter vivere la strada per la quasi totalità dei mesi dell’anno, il tempo era mediamente tiepido e le giornate di pioggia pochissime e quindi la strada da sempre è stata il naturale sfogo e la cosiddetta estensione delle nostre abitazioni.

Addirittura nelle borgate le modeste case avevano le porte finestre con le loro persiane sempre aperte sul marciapiede, solo le tendine nascondevano con pudore l’unico ambiente soggiorno-letto-cucina dalla vista dei passanti, e la strada era costantemente occupato dalle sedie, ancor prima che si inventassero i dehors, dove costantemente le persone anziane passavano il tempo a fare i lavori a maglia o pulire le verdure. Questo eravamo noi, questo siamo noi nella nostra tradizione, la strada era vita e le strette carreggiate favorivano questa creazione di un ambiente comune anche quando il transito e il posteggio delle macchine fini per invaderne la quiete. Ma quale privacy?

Io sono cresciuto per strada, ho giocato sui marciapiedi, ho sognato il mondo futuro attraverso la condivisione di questi spazi, ho giocato a pallone per strada perché di certo non sapevo che cosa fosse un campo in erba.

La strada era la vita, il posto dove i venditori ambulanti ti portavano il mondo a casa, dove i “fottipopolo” con i loro megafoni ti narravano le meraviglie di nuovi prodotti, la strada dei tanti Zampanò.

Ho iniziato in tempi remoti con i miei amici d’infanzia a disegnare con gli scarti di gesso della bottega del gessaio la strada, sia per crearne improbabili campi di calcio su cui giocare con il mitico Super Santos o “piste dove spingere i nostri tappi con lo zicchettone” versione invernale delle piste sulle spiagge dove spingere le palline con dentro le foto dei ciclisti. Quei marciapiedi tenuti con vero decoro urbano, costantemente riparati in quel rito mistico del battuto di cemento e il successivo disegno dei regolari quadroni con la data dell’intervento apposta e la tentazione di inserire il nostro nome nel cemento fresco, erano sedi di partite di “acchiana u patri cu tutti i so figghi” o addirittura della “cavallina”, giochi a costo zero.

Le strade erano lisce e periodicamente veniva rifatto l’asfalto con la posa del tappetino d’usura e poco importa se queste erano fatte dal Comune direttamente o da privati per conto del comune, poiché quello che in quell’età era uno stadio di calcio o un centro polifunzionale nel mio immaginario collettivo era principalmente un servizio pubblico, una viabilità, una zona di transito.

Non posso a colori non constatare che da qualche anno si è dichiarato guerra alla strada e si è trasformato il concetto di base della sua fruizione, nell’attesa di perenni promesse di un razionale ridisegno urbanistico, attraverso mega progetti di servizi per il territorio che rimangono nei proclami dei vari “Zampanò che sulla strada si sono fermati periodicamente per raccogliere attenzione. Vedo soltanto un accanimento terapeutico sulla strada divenuta centro di raccolta di tributi attraverso le “zone blu”, le “Ztl ma per farne cosa?

Manutenzioni sulle stesse carreggiate? Una delle offese maggiori al manto stradale ormai inesistente in questi anni è stato rappresentato dagli scavi nastriformi per i servizi a rete e le fibre, un continuo zig zag di dossi, di canali, di buche, di tombini sprofondati senza che nessuno chiamasse alla propria responsabilità gli esecutori per l’assenza di un coordinamento tra questi scavi e soprattutto la regola d’arte nel loro ripristino. Ci sono dei regolamenti? Non ci sono? Necessita predisporre questi regolamenti?

Adesso perdonatemi se non mi sono fatto coinvolgere in “visioni” di ciò che sarà o dibattiti su ciò che si sta facendo attraverso le linee dei tram e il disegno (simile alle nostre piste per i tappi in gioventù) di artistiche piste ciclabili su marciapiedi o carreggiate stradali ridotte, io sto a discutere su ciò che già c’era ed abbiamo perso, sul diritto del cittadino di non farsi male mettendosi per strada, di non appesantire i conti pubblici nel pagare le molteplici cause per infortuni sulla strada.

E’ lesa maestà da cittadino pretendere ormai dal prossimo “Zampanò” di iniziare dal rispettare il cittadino utente e dal riparare ciò che già esiste? C’è dubbio che il mio internet rischierà di andare meno veloce, con questa o le compagnie telefoniche concorrenti, ma vuoi mettere che grande sollievo nell’evitare di sminchiarmi cadendo con la moto a causa di un dei tanti “canali stradali” o evitare dolorose storte alle caviglie o mettere a repentaglio “qualche femore” passeggiando sui marciapiedi?

Un abbraccio, Epruno