Brunetto figlio di Buonaccorso e nipote di Latino Latini, appartenente ad una nobile famiglia toscana, visse nel mille e duecento, qualche secolo fa.

Dai documenti dell’epoca e da fonti storiche, è testimoniata la sua partecipazione attiva alla vita politica di Firenze e il suo mestiere di notaro.

È certamente appurato che fu inviato alla corte di Alfonso X di Castiglia per chiedere l’aiuto per i Guelfi durante la guerra tra Guelfi e Ghibellini, purtroppo mentre era in missione, sfortunatamente per lui, giunse la notizia del “2” in schedina, causa la vittoria a Montaperti, il 4 settembre 1260 dei Ghibellini e con questa il conseguente invito-consiglio “statti unni sì”.

Seguirono sette anni di esilio nei quali Brunetto si dovette arrangiare a svolgere la sua professione di notaio in Francia, sempre meglio di fare l’usciere al comune.

Il cambio d’aria gli fu propizio e d’ispirazione per scrivere le sue principali opere: il Tresore, il Tesoretto e il Favolello.Non chiedetemi di cosa trattino, certamente avranno avuto per l’epoca una interessata utenza se i loro titoli sono giunti fin ai giorni nostri. I pregiatissimi storici potranno se vorranno correggermi visto che le mie fonti sono del tipo “novella mille e duecento” dell’epoca.  

Non appena cambiò il vento e D’Angiò (no Pino, quello di “che idea”) ma il suo probabile antenato Carlo I, vinse a Benevento su Manfredi di Svezia, Brunetto ne approfitto per arricamparsi a casa Firenze e livarisi u tistali, si fece nominare protonotaro del Vicario angioino per la Toscana (dicendo che lui sempre per questo partito aveva votato in passato) e quattro anni dopo, nel 1273 si fece risarcire con il titolo di Segretario del Consiglio della Repubblica, nsomma una persona ntisa, stimato e onorato dai suoi concittadini.

Pensate che era riuscito ad essere accussì ntisu che organizzò per comprenderci una sorta di ufficio grandi eventi attraverso il quale la sua influenza divenne tale che a partire dal 1279 nella storia di Firenze non vi fu più un evento pubblico importante al quale Brunetto non abbia preso parte o abbia avuto interessi.

Per ingraziarsi la “borghesia comunale”, ma questa informazione sfiora la legenda, egli elaborò un programma che, mantenendosi al di fuori della “cultura universitaria” e rivolgendosi ad un pubblico intermedio tra i dotti e gli scappati di casa ambiva a far passare tutti dotti (un sistema tipo quello delle moderne lauree per corrispondenza, prese a tarda età, al fine di fare carriera).

La sua insperata carriera, fino a qualche anno prima, lo porto ad essere una persona la cui parola avesse peso, contribuì notevolmente alla “pace del Cardinal Latino” (la riconciliazione temporanea tra guelfi e ghibellini), presiedette il congresso dei sindaci in cui fu decisa la rovina di Pisa e finalmente diventò Priore (12 magistrati previsti dalla costituzione).

Morì novantenne, conservando integre le sue facoltà, anche se non si comprende perché la sua tomba sembrava esser dispersa e ritrovata successivamente nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Firenze.

Ma voi mi direte: “bello, ma a nuatri?

Avete ragione, ma quello che da anni mi chiedo:

Ci dovette essere necessariamente qualche questione con D’Angiò, (sempre Carlo I e non Pino, il quale diventò anche re della Sicilia di cui Palermo era capitale), se con tutta probabilità venne emesso un editto a futura memoria contro Brunetto (quasi una fatwa) che impedisse a chiunque nei secoli, per punizione, di rifare il tappetino d’usura e l’asfalto di Via Brunetto Latini dove da più di un decennio con la mia motocicletta rischio giornalmente di rompermi le corna.

Un abbraccio, Epruno.