Archivio per la categoria: Generale

Non ci sono più i delatori di una volta

Carissimi,

A cosa dovrebbe servire l’amicizia, se non alla condivisione di passioni, sentimenti, opinioni e persino di quelle sensazioni che, a volte, non riusciamo nemmeno a spiegare?
Parlare senza mezzi termini in un gruppo di persone fidate, vantandosi magari di cose non proprio corrette, talvolta borderline, sperando che quanto detto – come si suol dire – “rimanga tra di noi”.

Eppure oggi parlare è diventato complicato; dialogare, poi, quasi un lusso. La televisione di bassa lega e i social network hanno modificato così profondamente i nostri costumi da concedere visibilità – e, ahimè, coraggio – anche a individui che, prima, nessuno avrebbe mai pensato di far esibire in pubblico. Il risultato? Hanno scoperto di esistere.

Riconoscerli non è difficile: c’è sempre quel luccichio sospetto negli occhi, quella scintilla che segnala l’avviamento di un cervello “aggrippato”. Prima ancora che parlino, è evidente che non stanno realmente ascoltando ciò che diciamo: sono già pronti a intervenire, spesso in contraddizione, talvolta fuori tema, sempre con sorprendente sicurezza. Un talento naturale.

Così abbiamo perso il dialogo; così abbiamo perso l’uditorio fidelizzato.

Gli ambienti quotidiani sono affollati di individui silenziosi, sempre in ascolto, pronti a registrare, riportare – e, naturalmente, travisare – ogni frase udita. Sono persone che commerciano con le opinioni altrui, vendendole a chi può trarne vantaggio e traendone a propria volta un piccolo tornaconto: un’antica attività umana, oggi declinata in chiave moderna.

Questi sono i delatori.

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Le eccezioni cambiano la storia

Carissimi,

So che può apparire scontato, ma ogni volta che mi capita di dire o pensare che stiamo tornando indietro di quarant’anni, lo faccio con la netta sensazione che ciò che vedo per strada o ascolto in televisione mi confermi questa impressione.

Sono nato quindici anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale: ho avuto la fortuna, come tutti quelli della mia generazione (quella dei nati tra gli anni ’60 e ’80), di non aver mai conosciuto la guerra vera, sebbene abbiamo vissuto sotto la cappa della Guerra Fredda, quel lungo gioco a scacchi in cui le potenze si facevano paura a vicenda, sperando che nessuno muovesse il primo passo.

È stato un grande periodo di pace, che ci ha condotti all’abbattimento del muro, all’apertura delle frontiere, alla nascita di un sogno europeo.

Per una ventina d’anni abbiamo sognato: i nostri giovani viaggiavano, studiavano all’estero, tornavano con una mentalità più aperta, più libera di quella che avrebbero potuto sviluppare restando chiusi nel proprio piccolo mondo.

Io ho sempre creduto nel rapporto umano come strumento per conoscere meglio il prossimo.
Non mi sono mai fidato degli “intruppamenti”, ma delle sensazioni personali.
Ho subito sconfitte, delusioni, strumentalizzazioni; forse, qualche volta, sono stato anch’io un utile idiota, eppure continuo a credere che nell’uomo ci sia del buono, e che condividendo quel poco di buono — come un minimo comune multiplo — si possa costruire una società più giusta, sostenibile e futuribile, per i giovani e per la nostra terra.

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La Memoria dell’Assenza

Carissimi

Oggi approfittando della ricorrenza, mi piace parlare di un tema di certo serio, ma alquanto umano, che ci coinvolge tutti, prima o poi, e che ci rende tutti uguali, “l’assenza”.

Oggi onoreremo “Tutti i Santi”, anche quelli fuori dal calendario, regalando un onomastico a chi non ce l’ha, domani, commemoreremo i nostri defunti, “i muorti” dalle mie parti e destineremo un fiore sulle loro tombe o un pensiero alla loro memoria.

Daremo il giusto peso alle “assenze”, proprio mentre i nostri occhi e le nostre orecchie sono pieni di immagini di morte e di messaggi che inneggiano alla guerra, dimenticando il valore della vita, anche della più insignificante ai nostri occhi.

Si dice, “se non si ama la vita non si ha paura della morte”, eppure chi lo sa, se anche nelle menti bacate di costoro, all’ultimo istante, prima di chiudere gli occhi su questo mondo, non sia balenato in loro il desiderio di rimanere attaccati alla propria esistenza.

Per noi che amiamo la vita, non solo la nostra ma anche la vita degli altri, rimane sempre un dolore mai elaborato, un senso di impotenza e un vuoto incolmabile per ogni nostro affetto, non necessariamente di un familiare, ma anche di coloro che sono entrati nella nostra esistenza per dare a questa un contenuto, un valore aggiunto.

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Aspettative di Vita

Carissimi

Non fate gli snob accadrà, anche a voi, prima o poi, di dovere fare i conti con le aspettative di vita.

Non è necessario essere Nanni Moretti davanti al proprio metro nel misurare gli anni vissuti e gli anni che restano ancora da vivere, basta ad esempio, per chi si vuole assicurare un futuro mediamente sereno, di recarsi presso un CAF, o una struttura dedicata alla consulenza del lavoro e fare qualche calcolo utilizzando i numeretti che dal momento in cui abbiamo iniziato la nostra vita lavorativa ci accompagnano.

Il gentile signore del CAF mi ha accolto con un sorriso di circostanza e subito dopo mi ha chiesto, oltre i dati anagrafici, i dati specifici per poter iniziare a fare i dovuti calcoli necessari per stabilire un’età pensionistica e quanti anni mi separano da questa, oltre a stabilire quella che potrebbe plausibilmente essere la mia pensione.

In Italia grazie al continuo legiferare in materia è raro trovare due persone di seguito che abbiano lo stesso trattamento pensionistico, comprendete quindi come sia difficile per una persona normale, a maggior ragione con una mentalità matematica, riuscire ad avere un punto di certezza in merito.

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Domani migliorerà. Le temperature aumenteranno.

Carissimi.

Che caldo, o è una impressione mia?

Di questi tempi uno dei programmi televisivi che più mi fanno incazzare sono le previsioni del tempo fatte al nord da Ski e Mediaset, dove mostrano una cartina dell’Italia con una parabola di colore arancione che copre la penisola fino al suo centro, o anche un po’ più su e poi una zona padana e alpina tutta tempestata da segnali di pioggia, mentre il conduttore o la bella velina conclude con la frase: “domani migliorerà. Le temperature aumenteranno.”

Le temperature aumenteranno? E lo dici con quel sorriso accattivante? Scendi cinque minuti a Palermo e prova a mettere il naso fuori dalla porta.

Di questo tempo neanche le “piedofili” postano le loro gambe abbronzate nelle foto in barca o in riva al mare per paura di ustionarsi, ma di brutto.

Ecco io sono nato qui e sapevo a cosa andassi incontro, mi poteva andare peggio, nascere a quel tempo in India, durante la mitica “fame in India” e non poter mangiare gli aiuti umanitari fatti di scatolette di “carne Simmental” perché ritenute sacre in quanto “santine”.

Potevo nascere tra gli aborigeni e stare tutto il tempo con il cu.. di fuori e uno stecchino conficcato nel naso, ma non dico che era necessario nascere in Tirolo “con le caprette che mi facevano ciao”, ma pure in Lapponia a mangiare licheni basta che ci fosse stato un po’ di fresco.

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“Rigore è quando arbitro fischia”

Carissimi

Mi trovo come il fine settimana a dover scrivere le mie considerazioni sulle sensazioni accumulate nel corso degli ultimi giorni.

Sono state giornate un po’ frenetiche per la nostra città dovuta alla concomitanza del festino che ha, volente o nolente, finito per coinvolgere la stragrande maggioranza dei palermitani sia la fase di partecipazione sia per quella di fruitore involontario di tutti i disagi collaterali con la variazione di alcune abitudini giornaliere.

Il festino ha finito per rappresentare negli ultimi anni (ma proprio per una aberrazione di quelli che dovevano essere i principi fondanti di questa ricorrenza), uno strumento per misurare il gradimento del governo cittadino, si è finito per spostare l’attenzione verso la celebrazione di un primo cittadino e della sua giunta, allontanandosi da quella che doveva essere la natura religiosa e pagana dall’evento.

Personalmente penso che le tradizioni vadano difese (alla maniera anglosassone e non adattate ai tempi) a costo di apparire apparire ridicoli, ma la tradizione si perpetra nei secoli e si rispetta come la fede senza doversi fare troppe domande. Una volta era lo struscio sul Foro Italico alla ricerca dei babbaluci, gelati e del melone ghiacciato, in attesa del democratico fuoco di artificio culmine di tutti i festeggiamenti alla portata di tutti in riva al mare, oggi tutto ciò è diventato una mega produzione che ammette dentro eventi e piccoli eventi una marea di gente che vive di rappresentazioni e di spettacoli, pensi che chi rimane fuori da queste opportunità non si lamenti?

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Palermo, “Leggendo Epruno – Voci, Tempo e Contraddizioni” a Villa Filippina: quindici anni di pensieri detti ad alta voce

Domenica 20 luglio alle ore 19.00, nel suggestivo parco di Villa Filippina, andrà in scena “Leggendo Epruno – Voci, Tempo e Contraddizioni”, una serata speciale per celebrare i 15 anni dal primo reading. Non sarà il consueto spettacolo, ma una vera e propria celebrazione-racconto, un “talk-reading” che ripercorrerà le undici edizioni passate attraverso altrettanti brani selezionati, tra i più emblematici della produzione di Epruno.

In scena, Epruno e gli Eprunisti – professionisti nella vita quotidiana, lettori per una sera – accompagneranno il pubblico in un viaggio tra ironia, disincanto, pensiero laterale e affetto, arricchito da intermezzi musicali e proiezioni evocative. Uno spettacolo che non guarda indietro con nostalgia, ma in avanti, con lo stesso spirito di sempre: raccontare per resistere.

“Leggendo Epruno” è stato, per quindici anni, un laboratorio di parola viva, un reading teatrale atipico che ha fuso narrazione, riflessione civile e ironia poetica. Nato nel 2010 proprio a Villa Filippina, all’interno della rassegna da una idea di Fabio Lannino dal nome “Musica da leggere”, si è evoluto in un progetto culturale resistente, intimo e collettivo, che ha attraversato teatri, chiostri, cortili, salotti e librerie, mantenendo sempre lo stesso obiettivo: dare voce al pensiero laterale, senza mai alzare la voce.

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E se ci stessero contagiando tutti?

Carissimi

Trovate il coraggio di fare un appunto al “Palermo-sauro” sul suo dress-code estivo? Lui sente caldo!

Lui è inguardabile nelle sue scelte, il suo pantaloncino corto ricordo di una epoca coloniale che in città mai ci fu, il suo sandaletto, le sue mitiche canottiere e la “panza a mulune” tipica di chi della tavola ha goduto e dello sport lontanamente ha frequentato, in occasione delle partite di calcio sullo sterrato in epoca adolescenziale.

C’ha diri cosa?

Lui è così, ma se potesse si metterebbe la giacca anche abbondante e la cravatta e magari pure un rolex cinese al polso, un occhiale da sole, ma sempre volgare e bardascio apparirebbe perché “rustica progenie, semper villana fuit”.

Ah, se non ci fossero questi latini come faremmo a capire che l’individuo è stato così da millenni?

Che ci vuole a ripulirsi? Quando ti invitano ai matrimoni, anche ad agosto, la giacca e la cravatta te la devi mettere se no si offendono e quindi non può essere più il dress-code a fare la differenza, forse un po’ la postura, ma credetemi, anche quella oggi è sdoganata.

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Sempre lo stesso spogliatoio

Carissimi

Oggi parleremo dello spogliatoio nello sport e forse non solo.

Cosa c’è di più sacro che lo spogliatoio nella immediata attesa di scendere in campo per un evento o ancor più, alla fine dello stesso, quando stanchi ci si ritrova sulle panche a fare le prime considerazioni su quanto appena successo? Lì si festeggiano le vittorie o ci si lecca le ferite dopo le sconfitte, si fanno le future strategie.

Ogni allenatore lo sa, lo spogliatoio è sacrò qualunque sia il suo grado di manutenzione o di lusso, qualunque sia la sua temperatura dell’acqua delle docce, qualunque sia il livello di polvere o puzzo di muffa per l’umidità alle pareti. Malgrado tutto ciò sempre di un luogo unico dove si costruiscono i successi stiamo parlando, sia che trattasi del nostro abituale spogliatoio casalingo che dello spogliatoio che ci “ospita” nelle trasferte.

È lì che si fa squadra, è lì che ci si ripulisce dopo il sudore e i sacrifici in campo ed è li che soltanto i componenti della squadra e il proprio staff possono avere accesso.

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“Quis custodiet panem et Inzaghi?”

Carissimi

Certo che questo Decimo Giunio Giovenale, al suo tempo, nell’antica Roma, doveva esser considerato come un rompi coglioni e un nemicu da cuntintizza.

Autore satirico e poeta, a lui sono attribuite una serie di frasi passate alla storia, una delle quali, pesa ancora come un macigno: “Quis custodiet ipsos custodes?”

A distanza di più di duemila anni continuiamo a chiedercelo: “Chi sorveglierà i sorveglianti”?

Ma quello che di Decimo ricordiamo maggiormente è quella meravigliosa espressione, “panem et circenses”.

La frase, che significa “pane e giochi circensi”, compare nella sua opera “Satire” e Giovenale la usò per descrivere come i governanti romani cercassero di mantenere il controllo sulla popolazione offrendo cibo e intrattenimento, piuttosto che affrontare le vere questioni politiche e sociali.

Vi ricorda qualcosa?

Quante volte accusiamo i nostri governanti di distrarci con spettacoli e beni materiali, introducendo finanche i santi e gli eroi, invece di promuovere una vera partecipazione politica e risolvere i problemi reali.

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