Carissimi
Questa settimana davanti allo spettacolo rituale della crisi di governo non posso esimermi di fare una riflessione con voi a voce alta, su una delle mie peculiarità, l’esperienza di amministrazione sia essa pubblica che privata, sia attraverso il lavoro professionale, sia per la mia esperienza di utente, di amministratore e/o consulente che di quella di volontario.
Stiamo lì a vedere i vertici della cosa pubblica, il parlamento, i ministri, le istituzioni, spesso dare uno spettacolo non degno del ruolo e ci stiamo a chiedere: “perché?”
Ma la “cosa pubblica” la conoscete bene o parlate perché Giletti, Mughini, David, etc. vi mettono le parole in bocca nel dare giudizi in quei tribunali populisti televisivi?
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Carissimi
Nulla è come prima, abbiamo voglia di giustificare i nostri attuali comportamenti, la nostra stranezza, pensavamo che tutto potesse accadere, che tutto si potesse fare eppure stiamo facendo tutti i conti con le limitazioni.
Chi di noi non ha avuto una infanzia pensando che quello era si un bel periodo, ma un domani, senza dovere chiedere permessi, chi sa come sarebbe stata la nostra vita.
“Chiedere permessi”, per una persona libera come me è stata una grande sofferenza e dire che non è stato sempre così, ci fu un periodo in cui smisero di darmi il permesso e io mi sentii inizialmente perso.
Passammo comunque dal permesso dei genitori, al permesso della famiglia, fino al permesso del datore di lavoro che non scaturiva dall’affetto come i due precedenti, ma dalla necessità di farti sentire debitore, di doverti fare sentire il peso di appartenere a qualcuno.
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Carissimi
Datemi un dollaro, scusate il lapsus, datemi un euro.
Ecco voi pensate, dopo esser diventati anche voi “cinture nere di serie televisive americane” che da questo momento posso assumere ufficialmente la vostra difesa.
Purtroppo no, siete e siamo indifendibili, l’euro mi serve per darlo all’eroico rider che mi ha portato la pizza a casa, sotto l’acqua e in una serata tanto fredda.
Ma voi mi direte: “perché questa ulteriore generosità visto che il servizio è già compreso del “compenso” per chi vi porta a casa i pasti d’asporto?”
Vi rispondo, perché non ho due euro a portata di mano, diversamente ne darei due, perché il riders non è il solito ragazzino, ma è un po’ “spuntuliddru” non perché è cresciuto, ma perché è un padre di famiglia che di questi tempi ha perso il posto di lavoro.
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Carissimi,
Che succede lì fuori? Inizio a sospettare che ciò che mi raccontate non sempre sia la verità.
A breve farà un anno che siamo sottocoperta e non si hanno notizie certe di cosa succederà a breve.
Ho scherzato spesso in questo anno nel mio blog personale sulle analogie che legano questa nostra condizione agli arresti domiciliari e nell’ironizzare su ciò sono stato realmente “scorretto”, mai nulla potrà essere paragonata alla perdita di libertà per una detenzione, ma a maggior ragione, questa anomala condizione a noi qualcosa rode.
Vedere i festeggiamenti di folle in Cina a Wuhan, senza necessariamente essere “il nemico numero uno di turno degli odiatori del web” (Salvini), non dico che mi rode, ma mi fa notevolmente incazzare, come quando vi tagliano la strada mandandovi a sbattere, senza farsi nulla e vi chiedono scusa.
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“Carissimo Babbo Natale
Non fare finta di non conoscermi, io sono un bambino.
E sono un bambino anche un po’ seccato nei tuoi confronti perché ogni anno finisco per essere dimenticato da te ad ora dei regali.
Capisco che non nasco allo ZEN e non nasco neanche in Via Libertà e quindi non ci saranno né organizzazioni che vogliono pulirsi la coscienza né famiglie che stanno bene dietro te a finanziarti i miei regali, io sono figlio di un operaio disoccupato e di una impiegata a tempo parziale (non chiedermi che significa, ricordati che ho sempre dieci anni).
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In occasione della fine dell’anno 2020, a reti unificate (Facebook profilo “La Voce di Epruno”; Facebook gruppo “Io leggo Epruno”; Facebook gruppo “Gruppo d’Ascolto di FQNS – La Voce di Epruno”; Facebook pagina “Epruno, il Bello della Vita”; blog “www.epruno.it/”)
Carissimi
Chiudiamo a fatica questo 2020. Chi paventava tanto dall’assonanza numerica di cose accadute nel secolo scorso con questo ventennio, mai poteva pensare che l’unica similitudine sarebbe stata con una delle più grosse tragedie pandemiche accaduta appena cento fa con l’avvento della devastante spagnola. Chi pensava a svolte populistiche e alla riproposizione del ventennio “dell’uomo nero”, chi come me pensava all’Art Nouveau o al ballo del Charleston ed ecco ripiombare invece in un incubo terribile che per la prima volta ci ha fatto assaggiare il concetto reale di globalità e non soltanto da un punto di vista economico.
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Carissimi,
Non posso pensare al Natale, senza pensare a Zio Felice.
Felice di nome perché nei miei ricordi di bambino, Zio Felice era sempre “ncazzatu”, benché nei miei confronti godesse di una sorta di predilezione data al più piccolo dei nipoti che lo aveva per empatia scelto come zio di riferimento soprattutto nelle festività natalizie, in quel periodo che si apriva con la notte del 24 dicembre e si chiudeva il 6 gennaio, dopo un lungo periodo di visite ricambiate, di tavolate luculliane e di giocate a tombola o al mercante in ferie, dove per rispetto gli veniva dato il compito di “tirare i numeri” o estrarre le carte.
Lo Zio Felice era quello che oggi non potremmo definire “un congiunto”, poiché zio acquisito, avendo sposato una cugina dei miei genitori, ma molto vicina alla famiglia.
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Carissimi
“Se lei non mi fa parlare……. Io l’ho fatta parlare!”
“Per essere è bella, ma chi l’ha fatta questa cosa? Certamente il sindaco di prima.”
Lo so va di male in peggio e come direbbe il poeta “tira a campare, non cambierà!”
Sono stato da sempre un “medico” che ho deciso di rimanere a fare il “missionario tra la mia gente” e che il migliore dei complimenti che ho ricevuto è stato: “ma uno come te che ci stai a fare ancora qua?”
Che ci sto a fare qua? Ci sono nato e vorrei esser da sempre determinante per la mia terra, la mia gente. Ho studiato non perché mi interessasse mettere un titolo davanti al mio nome, per essere importante, testimonianza ne è che per scrivere neanche lo uso il titolo, a lavoro neanche lo uso il titolo e chi mi vuole fare prio mi chiama “architetto”, al limite “dottore”. Quel titolo che mi porto dentro di me ancor prima di averlo acquisito, me lo porto fin da bambino quando non avevo dubbi sui miei sogni.
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Il Caro Foscolo non si dimentica mai, qualcuno tra di voi “malpensanti” pensava che sto per parlare del cipresso quale albero scelto per fare prio ai palermitani durante le festività natalizie in piazza politeama?
Mi dispiace deludervi, ma volevo parlare di tutt’altro partendo da una poesia tra le più belle della nostra letteratura e legata ad un mio momento di grande soddisfazione agli esami di maturità scientifica.
Quei cipressi alti e la rimembranza, mi ricordano quel periodo in cui stavo preparando gli orali della maturità e mi lasciai convincere dal mio amico Tony che vive beatamente in Olanda da decenni, facendo il ristoratore, ma che allora era uno studente mio coetaneo che sperimentava le frontiere della nuova istruzione, preparando più anni in uno e studiando la notte dovendo di giorno ottemperare ad altri obblighi.
Tony mi assicurava che alzandosi presto ancor prima dell’alba, verso le ore 4.00 si poteva raggiungere la massima concentrazione, studiare fino alle 10.00 del mattino ed avere di davanti una giornata per potersi divertire ed andare al mare con gli amici.
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Carissimi
Una deliziosa pubblicità televisiva della mia infanzia iniziava con due genitori davanti ad una porta chiusa, di sera che stavano a domandarsi, il perché ci fosse silenzio e cosa facessero i figli, dicendo rivolti alla camera: “credete che stiano dormendo?”
Quale stupore in loro nell’aprire la porta e vedere i bambini che giocavano, saltando sul letto, dandosi colpi di cuscino, il con un motivetto stupido di sottofondo che risuonava come “bidibodibu, bidibodibe” ….
Divertente. Ma sono meno divertito oggi pensando in questo momento a cosa facciano certe “persone grandi” che dovrebbero avere buon senso per loro e per tutti, dietro quella porta (più prestigiosa) in quelle stanze dei bottoni, sapendo che adesso tanto silenzio ci disturba in questo caso, non perché i grandi non abbiano diritto anche loro di distrarsi, ma non in questo momento che hanno nelle mani le sorti della collettività, in questo caso dell’umanità.
Sono passati almeno 10 mesi ormai. L’allarme per questa pandemia che ci ha cambiato la vita è stato costante 24 ore su 24 Ore, non ci sono stati media che non abbiano dedicato al largo spazio all’argomento, eppure dopo tutto questo tempo, il silenzio di chi dovrebbe parlare e non di quelli che non hanno nulla da dire, mi infonde un brivido sulla schiena e non trattasi d’influenza, cosa scongiurabile, poiché qualunque influenza potrebbe risultarmi fatale. Leggi il resto dell’ articolo »