Carissimi
“Il silenzio è la conversazione di chi si ama”, diceva qualcuno che ne sapeva di più di me.
Eppure difficilmente oggi si rimane in silenzio per paura di non esser notato, Se poi vogliamo anche aver ragione non ci rimane che gridare più del nostro interlocutore, grazie anche al fatto che se gridassimo da soli, in una piazza nessuno si porrebbe oggi il problema di tacciarci per pazzo, poiché a differenza del passato penserebbe comunque che da qualche parte noi nascondiamo un auricolare e un microfono.
Il telefonino ci ha tolto anche questa soddisfazione, soprattutto certezza, quella di identificare qualcuno come pazzo perché parla da solo.
Se i pazzi quindi non parlano da soli, non gridano da soli, chi sono oggi i pazzi?
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Carissimi.
Se mi doveste chiedere qual è la cosa che mi affascina tanto ma non farei mai, vi risponderei subito il sindaco della mia città.
È certamente una figura di prestigio che giunti all’ultimo terzo della propria vita, un professionista come me, potrebbe ambire a fare, anche nell’ottica di un servizio da fornire alla propria collettività, ma se dovessi soffermarmi a ciò che leggo dai giornali o vedo sui media vi risponderei subito: “Ma chi me lo fa fare?”
Non nascondo che ho avuto l’onore di servire la mia città in vari ruoli di responsabilità o di consulenza, ma grazie al cielo sono anche riuscito a ricavarmi questo spazio per scrivere e da quando ci sono i social, anche per cazzeggiare, nel fine settimana, trovandone grande giovamento e forza per affermare e mie difficili settimane lavorative ma soprattutto per saper selezionare le affinità elettive attraverso la scoperta di gente intelligente che sapesse leggere oltre le parole.
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Carissimi,
Qualche anno fa scrissi un “pezzo” che si intitolava “e un giorno prese l’autobus”. Eravamo in un’epoca di “palude” e non di “visione” e quindi ciò dimostra la mia equidistanza di giudizio da chi gestisce la cosa pubblica. Il brano faceva riferimento a una frase pronunciata da un mio caro amico che ricopriva un importante ruolo politico al sindaco pro-tempore (della sua stessa coalizione) per chiedergli: Ma che città vivi? Ma che città vedi?
Era un momento storico particolare che io definivo parafrasando ben altri momenti storici più importanti come quello della “fantasia al potere”, forse perché a governare c’erano un bel po’ di persone cresciute con me sui marciapiedi, nelle scuole pubbliche e non in provetta come oggi spesso accade.
Era soltanto qualche anno fa, ma era un periodo, dove un amministratore non poteva uscire da casa fustigato com’era dalla stampa locale, attenta a riportare l’opinione dell’opposizione se non in alcuni casi a rappresentare se stessa come opposizione.
A quell’epoca gli ideali erano morti da poco sacrificati all’altare di “tangentopoli” che fornì prova di quanto nei discorsi di caffè si andava raccontando da qualche tempo. Quasi contemporaneamente finiva l’epoca dei “non personaggi” e iniziava un’epoca dei “comunicatori”. Gli ingegneri capi, i ragionieri capi, venivano soppiantati da sindaci e assessori “omni-competenti” che davanti le telecamere di TV locali (sempre di vicende di un “mondo piccolo” parliamo) continuavano a ripeterci “abbiamo detto, abbiamo fatto …” come se la cittadinanza fosse distratta dall’oggetto del contendere, come se fosse necessario avere l’imprimatur della stampa per certificare l’avvenuto o rappresentare qualcosa che nello specifico non lo era.
A lungo andare quello che prima era un anonimo assessore eletto ma noto soltanto agli addetti ai lavori, oggi è diventato un assessore nominato e una star mediatica e per di più “antipatico”, poiché suo malgrado ha finito per fare da catalizzatore di tutte le insoddisfazioni collettive. Inoltre tale antipatia si è alimentata dalla circostanza che non esiste momento pubblico nel quale non te li ritrovi presenti, in compagnia delle stesse facce, la stessa corte, lo stesso cerchio magico, lo stesso circo itinerante.
E’ un modo molto diverso di fare politica. E’ un modo radicalmente opposto a quello della prima repubblica di amministrare, se all’epoca volevi parlare con il sindaco dovevi andare a trovarlo nel palazzo di città o nella sua segreteria politica, oggi lo devi inseguire in una delle tante apparizioni di cui è fitta la sua agenda giornaliera, forse perché appare più importante essere visibili che rimanere dietro ad una scrivania a lavorare?
E dire che qualunque progetto, qualunque realizzazione nasce dall’unione di un lavoro sul campo e da un report a tavolino. A mio parere, stando sempre in giro come facciamo a non accorgerci dell’evidenza dei fatti? Di contro mi verrebbe da pensare: “ma se noi siamo sempre in giro, chi è che siede al tavolino e prende oggi le decisioni finali?” Ma questa è un’altra storia.
Io voglio bene alla mia città e gliene voglio a prescindere da chi la governa e per ciò qualunque iniziativa che abbia per oggetto la mia città, non mi vedrà mai schierato nel pregiudizio per partito preso e proprio per questo inviterei tutti ad abbassare i toni della dialettica e a ritornare ad accettare le critiche o i punti di vista diversi.
Vi sembrerà strano ma molto spesso le osservazioni che riporto nei miei editoriali nascono durante i quotidiani transiti per raggiungere l’ufficio in motocicletta, poiché è vivendo questa città nelle sue parti transitabili (e non soltanto nelle isole pedonali) che se ne può comprendere lo stato di salute senza necessariamente esser costretti a ragionar per parafrasi o peggio a raccontar favole.
“E un giorno prese la moto”, si oggi anche l’autobus sarebbe più complicato, l’importante è lasciare per un giorno a casa la scorta e vivere la città come un normale anonimo cittadino, per comprenderla meglio.
Ecco questa potrebbe essere una “nuova visione”.
Un Abbraccio Epruno
Carissimi, a bocce ferme diventa un po’ più facile parlare di cosa è successo nelle ultime settimane e probabilmente di cosa accadrà nelle prossime settimane, poiché un editorialista che si occupa di satira e non ambisce a fare discorsi seri quali quelli sul calcio o sulla politica, ha il dovere di non parteggiare per nessuno ma limitarsi a descrivere ciò che vede lasciando agli altri gli spunti di riflessione.
Innanzi tutto, che cosa è successo? Nulla, assolutamente nulla, completamente nulla. Scusatemi a onore del vero, ora che ci penso, una cosa è accaduta e non di poco conto, il mio profilo di facebook, di messenger e la mia casella postale si sono svuotate di messaggi elettorali, eccezion fatta per qualche rarità che ha la buona creanza di ringraziare.
Ma dicevamo, cosa è successo? Nulla, a dire il vero nulla. Qualcuno potrebbe dirmi: “Ne sei sicuro? Ti sei dimenticato di avere un nuovo sindaco”. Non è che me ne sia dimenticato, come potrei farlo, direi piuttosto che mi sono affezionato al mio sindaco come si fa con una persona di famiglia, o meglio che convive con la tua famiglia da circa trenta anni e tu lo chiami “zio”. Io che non sono suo “nipote” sono contento (almeno per lui), figuratevi quanto sono contenti i suoi “nipoti stretti”. Il mio rapporto con la figura del sindaco e la stessa che i cittadini di Crongoli ormai hanno con il loro sindaco, il quale non può dimettersi per statuto e così la sua presenza è data come un fatto assodato, ma come sapete, quella è gente semplice.
Domani quando uscirò per la prima volta dopo una lunga degenza andrò da un buon ottico perché sento la necessità di cambiare occhiali e dovrò essere quanto più attento alla graduazione poiché con grande modestia ammetto che ciò che mi si è propinato essere bello e perfetto, io a occhio nudo non sono arrivato a percepirlo, ma se la maggioranza afferma ciò, non può che aver ragione. Nessuno mi paga per fare il bastian contrario per partito preso, anzi l’invito è di rimanere “sereno” e quando in Italia da qualche tempo t’invitano a “stare sereno” si prova sempre un certo disaggio.
Un tempo ero preoccupato per i miei giovani che andavano via, oggi sentendo uno spot elettorale di uno dei candidati al ballottaggio a sindaco per la città di Genova ho sentito una dichiarazione contro tendenza: “I nostri giovani che vanno via, speriamo si specializzino fuori per tornare qui con la loro esperienza a cambiare la città.” Fantastico, me li sono immaginati i nostri ragazzi che s’inseriscono nelle università o nella realtà produttive americane o londinesi, o del nord dell’Europa, decidere a un certo punto di tornare per migliorare la nostra città e magari tornare per togliere il posto al figlio di un barone che in questi anni ha fatto di tutto per costruire un sistema che ti mettesse la valigia in mano.
Ma poi scusatemi perché preoccuparsi dei giovani che vanno via, un certo ricambio adesso c’è. Chi controlla i viaggi con i gommoni l’ha capito. Mentre all’inizio giungevano soltanto poveri disperati anziani, malati, donne e bambini, adesso giungono giovani “picciottoni” belli fisicamente pronti per rimpinguare i vivai delle squadre di calcio e quelli che non sanno toccare un pallone?
Niente paura, per loro c’è un’altra organizzazione più importante che non si può dire perché affermano che non esista più, lei sa come e dove piazzarli e nella peggiore delle ipotesi, un i-phone e un cappellino per la questua organizzata non si negano a nessuno.
Quindi, dicevate che è successo? E cosa deve succedere. Dal terrazzino difronte, pregno dell’odore di gelsomino con il suo bicchierino di rosolio in mano Don Fabrizio si solleva il cappello a mò di saluto e mi sorride. Lui è tranquillo, perché allora devo perderla io la tranquillità? Un abbraccio Epruno.
Carissimi, rimango sempre positivamente impressionato dalla visione dell’alba e da quello che chiamo impropriamente “saluto al sole”. Uno spettacolo sempre uguale, eppure siamo noi che cambiamo giorno dopo giorno perché a differenza di quanto ci vogliano far credere gli intensi programmi ginnici o i trattamenti di bellezza, diventiamo ogni giorno più grandi e se non vi fa paura la parola, “invecchiamo”.
Chiudiamo subito qualunque parentesi circa distinzioni tra età biologiche e quanto altro. Concentriamoci davanti a quel numerino del contatore che cadenza la nostra età, un dato oggettivo che legato alla rotazione degli astri ci permette di stabilire quante volte abbiamo vissuto il prefissato giorno dell’anno che vide la nostra nascita.
A questo numero sono indubbiamente legati tanti obblighi sociali, quale l’istruzione primaria, una volta il servizio di leva obbligatorio, l’età minima per l’acquisizione della patente, l’età che ci dà il diritto di votare, per dirne alcune, quindi aldilà del fatto che ci si senta giovani dentro, rassegnatevi, s’invecchia anagraficamente.
Arriva il momento in cui anche nel lavoro giunge la così detta età pensionabile e malgrado leggi e leggine tendono a spingere verso l’alto questo limite d’età, essa arriva e bisogna prenderne atto.
Non bisogna aspettare che siano i colleghi ad organizzarti la festa per la pensione o la partita d’addio e regalarti il mitico orologio “porta attasso” (statisticamente non si sopravvive di molto a tale regalo), ma giunge un momento in cui tutti ti vogliono fare capire: “fuori dai coglioni”!
Scusate il francesismo, scusate la crudezza ma è così! Anche i nostri tempi di reazione mentale non sono quelli del giorno in cui prendemmo servizio, non ci sono coloranti per capelli che reggono, non c’è esperienza che possa stare al passo del ritmo forsennato digitale che ha accelerato qualunque processo lavorativo.
Voi mi direte: “Allora che si fa? Ci si suicida?”
Ma quando mai, esiste una risorsa importantissima quella di “godersi la vecchiaia”, una nuova inesplorata e fantastica esperienza nella quale a fronte di altre risorse che sono diminuite, ne esiste una preziosissima che è aumentata smisuratamente, il “tempo libero”.
Ora spiegatemi, perché fare l’errore di voler rientrare nel “mondo del lavoro” dalla finestra?
Comprendo che la nostra società, alle nostre latitudini deve fare ancora molto per la terza età, ma in alternativa al godimento dei nipoti e dei giardinetti (visto che cantieri ne esistono sempre di meno), perché ostinarsi ad ambire a cariche di governo della collettività?
Se il nostro cervello è già “utilizzato abbastanza” per rispettare i ritmi dei processi produttivi come può essere competitivo nel governare le strategie della globalità dei processi produttivi altrui?
Quindi, eccezion fatta per i vari “circoli” che hanno una vocazione sociale e una forma di autogoverno interno, le associazioni di pensionati, ex combattenti fino ad “esaurimento” che aprono le sfilate gioiose per le commemorazioni, è illogico e a volte mortificante continuare a imporre la propria presenza fidando sul rispetto di quello che fummo.
Oggi anche per fare il capo condominio, ruolo in passato destinato al “rincoglionito ragioniere” più anziano del palazzo, ci vogliono studi, competenze e dinamicità che richiedono il più delle volte risorse mentali fresche.
Ho sempre guardato con ammirazione quelle coppie di croceristi straniere che si dedicano al turismo della terza età o tutti coloro che finito il ciclo lavorativo si sono dedicati agli hobbies della loro vita.
Pertanto non dobbiamo meravigliarci quando la nostra nazione arranca nel rimettersi economicamente in piedi per tornare ad essere competitiva come trenta anni fa, poiché i nostri leader essendosi ostinati nel riproporsi hanno anche loro trenta anni in più e mentre nella migliore delle ipotesi la nostra classe dirigente ha mediamente settanta anni, abbiamo visto gente come Blair, Obama, Macron andare alla guida delle loro nazioni a quaranta anni. Ci sarà una differenza.
Quindi, se continuiamo ad andare sempre in meno a votare scegliendo di contro l’usato sicuro, il problema è nostro. Continuiamo a bruciare generazioni.
Un abbraccio, Epruno.
(Pubblicato il 16/6/2017 su www.ilsicilia.it)
Carissimi, siamo alla vigilia del grande concorso e quando a Palermo di questi tempi c’è un “vero” concorso ci si mobilita in tanti.
La mattina di lunedì, all’alba, quaranta persone sapranno di esser state dichiarate vincitrici di questo mega concorso e una città intera tirerà un sospiro di sollievo, gli altri componenti delle 18 liste circa, rimarranno delusi, magari non tutti se consideriamo coloro che come sempre accade sono stati candidati contro voglia e magari non avranno preso neanche il proprio voto.
Ci saranno tanti sognatori da svegliare, coloro che più mani stringevano e più le loro ambizioni salivano. Ci saranno conti da pagare, numeri di creditori nel telefonino a cui non rispondere, ci saranno strade da evitare per non incontrare il tipografo che ci cerca per recuperare il credito. Ci sarà gente che da questo momento dovrà mettersi a dieta fino alla prossima competizione elettorale, dopo aver presenziato a tutti i banchetti possibili, di qualunque schieramento.
Finalmente torneremo dentro i seggi per potere dire la nostra.
Potremo dividerci nel gradimento di ciò che ci è stato proposto da coloro che hanno cercato di propinarci al meglio la realtà, ma ci saremo guardati dalle magie degli illusionisti che hanno tentato di venderci un sogno?
Personalmente non credo a chi promette stravolgimenti e un mondo diverso attraverso le elezioni poiché questi cambiamenti radicali avvengono soltanto attraverso le rivoluzioni e con bagni di sangue, così ci ha insegnato la storia.
Pertanto, scordatevi l’idea che chi giunga nella “stanza dei bottoni” abbia l’ambizione di cambiare le regole (contro il proprio interesse) per far stare meglio tutti. L’ultima volta a mia memoria che le intelligenze e le energie migliori si sedettero per fare qualcosa di positivo per la collettività avvenne all’epoca della scrittura della costituzione e ancora oggi ne stiamo a parlare, ma costoro non vennero fuori da un semplice scrutinio, ma guarda caso dopo una guerra civile a seguito di una guerra mondiale che stravolse le gerarchie sociali e ridistribuì le ricchezze e i privilegi.
Sarà un pessimo risveglio per la città?
Continueremo ad avere un sindaco che dopo averlo saputo fare, farà squadra e soprattutto come lui auspica stravincerà al primo turno?
Vincerà il suo clone giovane (fisicamente) che dopo averlo portato già al ballottaggio cinque anni fa allungherà l’attesa del verdetto di altre due settimane, oppure sarà qualche altro?
Avranno successo le scelte romantiche di una politica che non c’è più legata ai simboli e alle battaglie ambientali, o le sempre di moda “ex Jene” oggi spendibili in qualunque ruolo, dal calcio alla politica, oppure sarà qualche altro?
Certo il rischio che finendo la campagna elettorale, finisca la magia della favola e che superata la mezzanotte tutto tornerà ad esser come prima che la bacchetta magica facesse la sua magia è grosso.
Mi dispiace pensare a carrozze che torneranno ad essere zucche e a maggiordomi che torneranno topini. Ma soprattutto mi dispiace pensare al principe azzurro che si richiuderà nel suo palazzo a fare feste con gente del suo rango lasciando cenerentola al suo destino, quello di sposare qualcuno a servizio come lei.
Si sa, le favole sono un sogno ma poi ci si risveglia.
Ma tornando a quanto sopra, voi direte: “qualche altro chi?”
Ovviamente l’uomo in giallo, ma in quel caso come direbbero a Roma so “ca…” poiché ……
Ma questa volta sono io che non vi voglio rovinare il sonno.
Il momento elettorale ci permetterà di decidere soltanto tra gruppi che si candidano a gestire il potere, ecco perché questi periodi elettorali non mi entusiasmano e difficilmente mi vedono partecipe, poiché mi sembrano un dejà vu.
E i Gattopardi ce li siamo dimenticati?
Non preoccupatevi sono già dietro le porte dei nuovi futuri assessori (presi dalla società civile), pronti ad offrire i propri servigi, per mantenere i loro privilegi, garantendo la continuità e il vero governo burocratico delle cose, pertanto comunque avrete deciso di votare, dormite tranquilli.
Un abbraccio, Epruno.
(Pubblicato il 9/6/2017 su www.ilsicilia.it)