Ferie d’Agosto

Carissimi
La Fiat 600 color grigio topo era posteggiata difronte il portone e l’omone si affannava a costipare bene i bagagli nel rispetto dello spazio lasciato per i posti a sedere. Io piccolo guardavo da dietro le persiane attendendo il momento sublime, la collocazione del portapacchi sopra la copertura dell’auto, con il posizionamento della grossa camera d’aria da camion ormai riqualificata all’uso di salvagente. Era un crescendo verticale di pacchi legati in qualche modo, una casa sopra una macchina utilitaria. Poi l’apoteosi, il momento della partenza, le ultime indicazioni date ai figli più piccoli che andavano rigorosamente nel posto di dietro, un abbraccio e un saluto dalla portiera (personaggio mitologico di quell’epoca) e via al costipamento, papà alla guida, mamma nel posto accanto, ma prima sollevato il sedile anteriore della due sportelli, il posizionamento del primo figlio, del secondo figlio e perché no un terzo ospite, lo zio, la nonna. Via verso le agognate ferie. Era lì che tutti gli accorgimenti aerodinamici di Pininfarina o Giugiaro andavano a farsi benedire e quella sorte di casa ambulante, correva (eufemismo) lungo la statale, con le sue curve interminabili, non essendo ancora stata completata l’autostrada, qualche sosta per motivi idraulici contrattata con il guidatore del tipo “o mi fai scendere o ti piscio qua dentro” ed erano ferie, delle belle ferie, più belle di qualunque last minute nei resort.

E che dire dell’arrivo, quando ad attenderci c’erano i parenti o gli amici schierati per l’abbraccio di rito nell’attesa dello svuotamento dell’utilitaria che sembrava più quello del recupero degli astronauti dalla navicella spaziale ammarrata e l’emozionante uscita dai posti di dietro, con uno scricchiolare d’ossa, dopo 120 km di statale.
Questo viaggio avrebbe comportato ai giorni d’oggi una rieducazione osteopatica per riguadagnare una corretta postura, specialmente da parte di chi aveva viaggiato dietro il guidatore, abituato alla sua guida sportiva alla John Surtees, con le ginocchia schiacciate sotto il mento e in più “pisciato”, poiché in genere quello era il posto dedicato o al più piccolo o al più secco e comunque l’ultimo ad avere diritto di parola. Ma la frase tradizionale che non poteva mancare mai e che ti faceva sognare era: “a Palermo c’è caldo, ma qua ……. La sera si dorme con la copertina di lana”.
Cosa cazzo ci facesse la copertina di lana in giro d’estate me lo chiedo ancora oggi a maggior ragione se penso a località di vacanza al mare.
Ma quali SUV o Station Wagon, quali macchine familiari, era la 500 o la 600 la macchina della famiglia, macchine con il doppio fondo di cui poteva dirsi “cape a casa quantu voli u patruni”. Vi ricordate la grandezza del portabagagli della Fiat 500? E quanto era bello ritornare nei paesi d’origine dove tutto rimaneva come una foto in un istante euleriano in attesa del ritorno dei figli prodighi, degli emigranti che per due settimane tornavano al paesello da autorità, fuggiti dalla fame in Sicilia, finiti per fare lavori umili al nord. Quanto era rilassante ascoltare seduti per strada al bar i loro racconti come quelli di vere e proprie star. Tutti a domandare se in fabbrica costoro avessero mai visto l’Avv. Agnelli o se allo stadio avessero mai incontrato Gianni Rivera. Sarà, ma in quell’atmosfera estiva anche le “minchiate” più incredibili diventavano verità per una stagione e il portierato in periferia Milano diventava la proprietà di grande immobile, il lavapiatti di Bergamo diventava il Gordon Ramsay chef stellato.
Sognavamo tutti, anche chi stava nella merda fino al collo ma si dava da fare per un futuro migliore per se e per i propri figli. L’Italia si fermava per circa un mese, come le fabbriche, i negozi passavano dal mezz’orario alla chiusura temporanea, le città si svuotavano e tutti eravamo in ferie, non esistevano i “rompi scatole” che oggi rimangono al lavoro quando gli altri sono in vacanza per tartassare con cattiveria attraverso solleciti, il mondo intero.
Tutti ci si riposava ad Agosto e poi si ripartiva con il dovuto entusiasmo frutto anche della circostanza di aver conosciuto il compaesano che era arrivato a darsi del “tu” con l’Avv. Agnelli e non come oggi dove si è perso qualunque entusiasmo ma garantiamo il “servizio” per ventiquattro ore al giorno e tutto l’anno. Al tempo avevamo le “pezze nel sedere” e sognavamo oggi che anche le pezze sono cadute, bisognerà fare molta cautela nell’abbassarsi. Un abbraccio Epruno.
(pubblicato su www.ilsicilia.it il 28/07/2017)

Dottor Cretino

Carissimi, accade spesso di partecipare a incontri di lavoro e come sempre incontrare lui, il “cretino di turno”, colui che è vero cretino, ma in qualche modo, con varie alchimie siede senza alcun “titolo professionale” al nostro tavolo.
Tutti non sapendo come chiamarlo, con molto imbarazzo lo chiamano “dottore”, perché lui, il più delle volte, preso dal suo complesso d’inferiorità è pure perfido e quando s’incazza fa danno.
Guardandolo pensate: “Non ci sono più i cretini di una volta, oggi finanche i cretini si fanno chiamare dottore”. “Che ne è stato del valore del titolo di studio?” “ Ma perché dopo anni di studio per una laurea importante non sono diventato ricco?”
E’ così che per una strana associazione di pensieri, mi viene in mente Peppino.
Peppino detto “Pippinu” era una persona umile in paese, non aveva che la quinta elementare presa chi sa Dio come e non brillava per intelligenza, diciamolo pure, era “cretino”, ma buono e se a questo sommiamo un’infanzia sfortunata, non si poteva non nutrire simpatia e affetto per lui.
Rimasto orfano e solo dopo la prima guerra mondiale i parenti lo imbarcarono sulla nave che portava in America per strapparlo a un destino di stenti e povertà.
Ormai grande e avanti con l’età Peppino un giorno tornò in paese dall’America per venire a deporre un fiore sulla tomba della madre.
Era diventato ricchissimo e ricordo ancora quella sera al Bar di Franco, quando tutti i paesani per festeggiarlo, lo invitarono a raccontare la sua vita negli States.
Lui in quell’italiano ormai stentato e con quel sorriso sornione e coinvolgente, non si sottrasse alla curiosità dei concittadini.
C’era chi gli chiese: “Peppino tu hai studiato?” “Ti sei laureato?”
Lui con la testa face cenno di no.
Gli domandarono: “Hai fatto un buon matrimonio?” “Un matrimonio ricco?”
Peppino divertito rispose di no.
Il barista gli chiese: “Non mi dire che hai rubato?”
Peppino con quel suo sorrisone, rispose “ma quando mai” e intraprese il suo racconto.
“Io sono arrivato povero e orfano e un commerciante ebreo mi prese con sé a lavorare, ma mi voleva bene come un figlio ed io ho lavorato come un mulo giorno e notte e così lui mi face mangiare e dormire in casa sua. Lui aveva tanti sordi, tanti palazzi, tanti business”.
Mi venne spontaneo dirgli:
“Ti ha adottato e ti ha lasciato erede universale?”
Peppino rispose: “No, quando mai”.
Io replicai: “Allora come è che oggi tu sei diventato così ricco?”
Peppino completò il suo racconto: “In punto di morte mentre io chiancia ed ero vicino al suo capezzale, lui mi fece cenno con la mano per farmi avvicinare e mi disse all’orecchio – Pippino, tu si cretino e te lo dice uno ca ti voli bene, t’avissi potuto lassari sordi e proprietà ma tu si troppu buono e ti l’avissi fatto futtiri, per questo lasso tutto e me niputi ca manno schifiato ppi na vita, ma a Te lasso na cosa chiù importante – e tirò fuori da sotto il cuscino…….”
A questo punto Peppino mi mostrò prendendola dalla sua tasca una piccola e vecchia agendina ormai rovinata.
Preso dallo stupore gli dissi: “E ti lasciò solo questa agendina senza valore?”
E Peppino allargando il suo sorrisone con grande soddisfazione e portandosi il dito indice sulla tempia mi disse: “A me lasso i canuscienze!”
Ora non so che tipo di conoscenze avesse ereditato e quale fosse la natura del “business” del suo padrone ebreo, e non lo voglio sapere, so solo che quando morì Peppino era un uomo tra i più ricchi e influenti di Detroit, oggi una fondazione porta il suo nome e si dice che con lui in vita, quando il partito repubblicano doveva scegliere i candidati per la presidenza degli Stati Uniti, i grandi elettori si rivolgessero a Peppino per l’ultima parola.
Si è vero, chi vi sbatte in faccia titoli e ricchezze il più delle volte sovrastimate, non è nessuno, spesso è “il cretino” di cui all’inizio che con tanta furbizia seguendo un altro cretino o un marpione a cui serviva un utile idiota, si ritrova in alta quota dove l’ossigeno è più rarefatto e bisogna dosare le energie.
Il piacere di non sporcare la propria intelligenza, di vantarsi di non essere nessuno e non avere un ruolo e un privilegio di pochi i quali però finiscono per “conoscerli tutti quelli che contano” poiché per dirla come Peppino, “la vera ricchizza su i canuscienze”.
Un abbraccio Epruno.

(Articolo pubblicato su www.ilsicilia.it il 21/07/2017)