Il silenzio, l’amore e la pazzia

Carissimi

Il silenzio è la conversazione di chi si ama”, diceva qualcuno che ne sapeva di più di me.

Eppure difficilmente oggi si rimane in silenzio per paura di non esser notato, Se poi vogliamo anche aver ragione non ci rimane che gridare più del nostro interlocutore, grazie anche al fatto che se gridassimo da soli, in una piazza nessuno si porrebbe oggi il problema di tacciarci per pazzo, poiché a differenza del passato penserebbe comunque che da qualche parte noi nascondiamo un auricolare e un microfono.

Il telefonino ci ha tolto anche questa soddisfazione, soprattutto certezza, quella di identificare qualcuno come pazzo perché parla da solo.

Se i pazzi quindi non parlano da soli, non gridano da soli, chi sono oggi i pazzi?

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Ci vuole fortuna pure nel dove nascere

Carissimi, dice …. “che ci fai in una città?

Quello che ci fanno tutti! Ci nasco, ci cresco, ci studio, mi diverto, ci lavoro, ci muoio!

Bello, allora tutte le città sono uguali.

Arasciu (adagio) andiamo piano con le conclusioni. Tu mi vorresti dire che Palermo è uguale a Londra, a Parigi o Berlino?

Si, e perché no?

Certo se vuoi nascere lo fai dovunque, pure sotto il cavolo, natura è. Puoi nascere su un aereo, puoi nascere su un taxi per strada, quando è il tempo e soprattutto se è destino, nasci da migrante in un barcone o sotto i bombardamenti. Mi rendo conto che i problemi vengono un istante dopo, ma tu per pronto accomodo sei nato.

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Strade e Scarpe

Carissimi,
ci torno spesso perché fa parte della mia qualità della vita e penso della qualità della vita di molti di voi.
Malgrado parliamo spesso di globalizzazione, migrazione, integrazione non possiamo scordarci delle identità locali e di costumi che nascono in relazione e in conformità con le caratteristiche geografiche di dove viviamo. E’ ovvio che l’esquimese vive nell’igloo, il nord europeo vive in case con ampie vetrate per catturare la luce e il calore del sole, le tribù equatoriali vivono anche nelle capanne, insomma ognuno di noi si adatta a quello che è il territorio, per cui se mi addentro nella foresta mi aspetto un pista sterrata, se mi addentro nel deserto, neanche questo, ma se vivo alle mie latitudini benché ci sia chi sogna di trasformarle in una Puerto Escondido (dove malgrado la latitudine le strade probabilmente sono tenute meglio delle nostre), mi aspetto delle strade asfaltate e bene.
Non voglio entrare nel merito di come si fa una strada poiché attirerei soltanto l’attenzione di qualche tecnico, ma dell’uso della strada ne possiamo parlare tutti. Leggi il resto dell’ articolo »

E un giorno prese la moto

Carissimi,
Qualche anno fa scrissi un “pezzo” che si intitolava “e un giorno prese l’autobus”. Eravamo in un’epoca di “palude” e non di “visione” e quindi ciò dimostra la mia equidistanza di giudizio da chi gestisce la cosa pubblica. Il brano faceva riferimento a una frase pronunciata da un mio caro amico che ricopriva un importante ruolo politico al sindaco pro-tempore (della sua stessa coalizione) per chiedergli: Ma che città vivi? Ma che città vedi?
Era un momento storico particolare che io definivo parafrasando ben altri momenti storici più importanti come quello della “fantasia al potere”, forse perché a governare c’erano un bel po’ di persone cresciute con me sui marciapiedi, nelle scuole pubbliche e non in provetta come oggi spesso accade.
Era soltanto qualche anno fa, ma era un periodo, dove un amministratore non poteva uscire da casa fustigato com’era dalla stampa locale, attenta a riportare l’opinione dell’opposizione se non in alcuni casi a rappresentare se stessa come opposizione.
A quell’epoca gli ideali erano morti da poco sacrificati all’altare di “tangentopoli” che fornì prova di quanto nei discorsi di caffè si andava raccontando da qualche tempo. Quasi contemporaneamente finiva l’epoca dei “non personaggi” e iniziava un’epoca dei “comunicatori”. Gli ingegneri capi, i ragionieri capi, venivano soppiantati da sindaci e assessori “omni-competenti” che davanti le telecamere di TV locali (sempre di vicende di un “mondo piccolo” parliamo) continuavano a ripeterci “abbiamo detto, abbiamo fatto …” come se la cittadinanza fosse distratta dall’oggetto del contendere, come se fosse necessario avere l’imprimatur della stampa per certificare l’avvenuto o rappresentare qualcosa che nello specifico non lo era.
A lungo andare quello che prima era un anonimo assessore eletto ma noto soltanto agli addetti ai lavori, oggi è diventato un assessore nominato e una star mediatica e per di più “antipatico”, poiché suo malgrado ha finito per fare da catalizzatore di tutte le insoddisfazioni collettive. Inoltre tale antipatia si è alimentata dalla circostanza che non esiste momento pubblico nel quale non te li ritrovi presenti, in compagnia delle stesse facce, la stessa corte, lo stesso cerchio magico, lo stesso circo itinerante.
E’ un modo molto diverso di fare politica. E’ un modo radicalmente opposto a quello della prima repubblica di amministrare, se all’epoca volevi parlare con il sindaco dovevi andare a trovarlo nel palazzo di città o nella sua segreteria politica, oggi lo devi inseguire in una delle tante apparizioni di cui è fitta la sua agenda giornaliera, forse perché appare più importante essere visibili che rimanere dietro ad una scrivania a lavorare?
E dire che qualunque progetto, qualunque realizzazione nasce dall’unione di un lavoro sul campo e da un report a tavolino. A mio parere, stando sempre in giro come facciamo a non accorgerci dell’evidenza dei fatti? Di contro mi verrebbe da pensare: “ma se noi siamo sempre in giro, chi è che siede al tavolino e prende oggi le decisioni finali?” Ma questa è un’altra storia.
Io voglio bene alla mia città e gliene voglio a prescindere da chi la governa e per ciò qualunque iniziativa che abbia per oggetto la mia città, non mi vedrà mai schierato nel pregiudizio per partito preso e proprio per questo inviterei tutti ad abbassare i toni della dialettica e a ritornare ad accettare le critiche o i punti di vista diversi.
Vi sembrerà strano ma molto spesso le osservazioni che riporto nei miei editoriali nascono durante i quotidiani transiti per raggiungere l’ufficio in motocicletta, poiché è vivendo questa città nelle sue parti transitabili (e non soltanto nelle isole pedonali) che se ne può comprendere lo stato di salute senza necessariamente esser costretti a ragionar per parafrasi o peggio a raccontar favole.
“E un giorno prese la moto”, si oggi anche l’autobus sarebbe più complicato, l’importante è lasciare per un giorno a casa la scorta e vivere la città come un normale anonimo cittadino, per comprenderla meglio.
Ecco questa potrebbe essere una “nuova visione”.
Un Abbraccio Epruno