“Scusa Cuscì mi l’ha fari pigghiari un cafè?”

Carissimi,

L’abbiamo vissuto insieme in questo blog e oggi possiamo dire che siamo arrivati in qualche modo in “fase 3”. Non mi fermo a spiegare il significato che ciò possa avere per tutti noi, ma appare evidente che quel sogno di poter uscire fuori da un tunnel approfittando dell’anomalia e impostare un cambiamento, non è stato automatico. Non è bastata la paura, non è bastato il rischio che questa pandemia possa manifestarsi ancora con un ritorno di intensità devastante, purtroppo è stato necessario ristabilire i simboli di questa nostra società, mettendo subito in scena con effetti tristi, ciò che dietro le quinte è legato da forti interessi economici e da penalità paventate da pagare, ad iniziare da un “calcio a porte chiuse” che è la negazione più forte di quello che per anni è stato un evento condiviso fisicamente. L’aver surrogato negli anni con la visione di un calcio da poltrona del salotto mediante la tv, uno stadio pieno, ha ucciso progressivamente il calcio che oggi si basa su certezze, i contributi televisivi e la Juve che vince lo scudetto, un po’ come il wrestling, sappiamo tutti che è una recita, ma ci divertiamo lo stesso. Ci siamo inventati, pur di ripartire presto, un calendario forzato di partite estive e un calcio a porte chiuse, come le partite che tutti noi abbiamo giocato nell’adolescenza, nei campi a pagamento. Certo un elemento di novità sarebbe stato quello di dividersi (come facevamo noi), tra i giocatori, il costo dell’affitto del campo, con annesso stacco della luce allo scoccare dell’ora e trenta, oppure per renderlo più interessante e combattuto, chiedere ai giocatori di accettare la regola di “chi delle due squadre perde, paga il campo”.

Invece no, chi lo accetta, si mette davanti alla tv a vedere “scapoli e ammogliati d’oro”, giocare nel silenzio di spalti vuoti artatamente mai inquadrati. È questo il compromesso?

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Consideriamolo un “primo giro di Cross”

Carissimi
Come spesso cito: “Non si può dire che le ultime ore non siano state prodighe di emozioni”.
Così diceva Fernando (Bruno Ganz in “Pane e Tulipani“) nella sua cucina, davanti al bicchiere della staffa, lui personaggio di quella tenera umanità perdente che attraverso la forza e la semplicità dei sentimenti avrebbe ridato un senso alle proprie vite.
Adoro di più Ganz in questa interpretazione che in quella meritevole del Fuhrer nel bunker di Berlino ormai parafrasata, ridoppiata in mille occasioni per ironizzare su personaggi locali e sulla propaganda di una storia che volge tragicamente al tramonto malgrado la propaganda.
Ma a proposito di propaganda come dimenticare il mitico Mohammed Saeed al-Sahaf ministro degli esteri e della “propaganda” di Saddam Hussein che durante la guerra in Iraq nel 2003 affermava che non vi erano americani in città e che le truppe di Saddam stavano comodamente vincendo la guerra mentre le immagini mostravano sullo sfondo i carri armati statunitensi che scorrazzavano a Baghdad.
Sì, ho la sensazione che per qualcuno sia finita e non c’è più propaganda che tenga, ho anche la sensazione che determinati meccanismi di garanzia fino ad oggi per lo “status quo” si stiano incrinando pertanto cavalcare l’eterna insoddisfazione che alberga nella nostra società e costruire slogan ad arte per raccogliere queste insoddisfazioni e finalizzarle all’ottenimento di un consenso o di contro ingenerare altre paure attraverso l’arrivo dell’uomo nero oggi non serva neanche a fare mangiare i bambini. Leggi il resto dell’ articolo »

La Sicilia è un’Isola

Carissimi,

“La Sicilia è un’isola circondata dal mare”. Questa erudita affermazione non è mia ma fu espressa da un assessore al turismo regionale in occasione di una importante manifestazione.

Questo asserto rivoluzionario cambiò da allora il mio punto di vista e quello di tanta altra gente attonita in sala quel giorno, non sapendo che il nostro uomo politico guardava ben oltre la nostra grettezza e quella del mio vicino di sedia che quel pomeriggio a bassa voce disse: “minchia! Bella scoperta”.

E no! Troppo facile vedere l’acqua tutt’attorno e sentenziare che si tratti di mare, l’abbiamo mica assaggiata? Siamo certi che sia salata?

In più, siamo altrettanto certi che tutte le isole siano circondate dal mare? E le isole pedonali?
Eppure ci fu chi ebbe un gesto di scherno in quell’occasione, poiché è insito nel nostro modo di essere o il non proferire verbo o all’opposto, proferirlo “ppi cugghiuniari”.

Il problema siamo noi, non loro. Il politico fa il suo mestiere e da che mondo e mondo, non appena sale sopra un gradino che gli permette di guardare posizionato dall’altra parte e dall’alto la folla, è più forte di lui, diventa già diverso, pronto a fare la qualunque, propinando ogni tipo spettacolo per avere gli applausi e prendere per i fondelli il prossimo.

La Sicilia in più è strana e unica, qui si aspetta a parole il cambiamento con la stessa attesa che hanno i giudei per il messia e intanto sono passati migliaia di anni, qui parliamo tutti di cambiamento perché sappiamo che non avverrà mai e come nero con nero non tinge abbiamo ospitato e ospiteremo ogni popolo o addirittura ogni scappato di casa costituito in gruppo senza preoccuparci e senza lasciarci coinvolgere più di tanto poiché come già detto in passato, prima o poi si sono stancati e sono andati via o si sono mimetizzati tra di noi diventando come noi.

In Sicilia i ratti vista la loro dimensione si travestono da gatti e fingono la caccia ai topi per non dimenticare e stare tranquilli e rispettati.

In Sicilia tutto ciò che si vede nasconde sempre tutt’altra cosa, un’altra visione oltre a tutto quello che non si vede, perché non si vuole vedere e pertanto non esiste. Non può esistere ciò che non si vede.

Aspettando cambiamenti da fuori ne traiamo alibi per continuare a far nulla, ma come dicevamo, da noi i politici hanno una marcia in più vedono oltre, hanno creatività e spesso sanno trasformare il nulla in un prodotto che ti vendono caramente e questo prodotto si chiama “tempo”.

Ottenuto in qualche modo il consenso, si chiudono all’interno dei palazzi e fanno passare il tempo, perché è vero che il tempo è denaro (certamente per loro, alla fine del mese), ma per noi è “vecchiaia”, è abbandono, è grigiore, spesso è anche morte poiché non tutti vedremo la “terra promessa”.

Siamo cresciuti nell’attesa di cambiare e ci è stato fatto notare di esser stati ingrati, di essere nemici della contentezza, poiché il cambiamento effettivo era sotto i nostri occhi, ma purtroppo il problema non era il cambiamento, ma il tempo che ci era voluto affinché questo cambiamento che avevamo davanti gli occhi avvenisse, poiché le trasformazioni che oggi stiamo vedendo, appartengono ai sogni e alle promesse fatte a chi era giovane settanta anni fa, se è vero come è vero che sotto l’asfalto di piazza Marina o Piazza Deodoro Siculo affiorano ogni tanto rotaie di tram. È ingiusto venderci i sogni dei nostri nonni.

Ecco perché oggi c’è chi da anziano si vanta del successo che ha sui giovani e non sui loro genitori, mente sapendo di mentire, perché i giovani se li porti a Disneyland si divertono e te ne sono grati per il periodo dedicato a pensare a giocare, i genitori di contro che questi anziani li hanno già conosciuti bene, avendo smesso da tempo di essere giovani e di giocare dovendosi cercare lavoro per crescere le loro famiglie e i loro figli, hanno dovuto constatare da tempo come funzionava.

La storia è piena zeppa di santoni indiani e delle loro sette e meno propensa ai santoni siciliani, benché di messia a giudicare di personaggi famosi che hanno ricoperto le più importanti cariche dello stato a Roma ce ne siano state in quantità, ma per noi sono rimasti dei “profeti” tante che continuiamo a vivere alla ricerca della terra promessa.
Adesso chiudo perché non voglio perdermi il cambiamento che verrà visto il cicalio dovuto ai messaggi su WhatsApp inviati in continuazione dal mio editore e riportante notizie di proclami relativi ad una frenetica attività “politica” in questa terra.
Un abbraccio Epruno.

“Uomini, Topi e Cambiamento”

Carissimi,

“Monsignori, sveglia, è finita!” Così nel suo discorso al tribunale ecclesiastico che stava per giudicare Monti e Tognini, urlava il Cardinale Colombo da Priverno (un eccezionale Nino Manfredi) nello splendido ritratto di una Roma papalina alla vigilia della breccia di Porta Pia, fatto da Magni, nel mitico “In nome del Papa re”.

Colombo aggiungeva per scongiurare una condanna già scritta con pregiudizio in un processo farsa (così rappresentato nel film), rivolto ad un assonnato, disinteressato e moralmente corrotto gruppo di cardinali, “per una volta famo i preti”, “qui non è finita perché sta arrivando Garibaldi, ma qui sta arrivando Garibaldi, proprio perché è finita!”

Questa frase pesante come un macigno la riporto spesso perché è emblematica di tutti i sistemi giunti al tramonto dove ognuno tenta di trovare scusanti al proprio cattivo risultato, accampando le peggiori scuse, addossando responsabilità finanche ai sottoposti, per la paura di guardarsi al quel “mitico specchio” ricorrente nei miei editoriali.

I sistemi finiscono perché si distruggono quasi sempre per l’ingordigia, l’incapacità, l’incompetenza e l’arroganza ma dall’interno e per chi pressa dall’esterno basta solo aspettare il momento opportuno per l’attacco decisivo che si trasforma a quel punto in una “passeggiata di salute”. I sistemi in passato cambiavano con le guerre e le rivoluzioni, oggi alle nostre latitudini per fortuna si spara di meno e non ci sono guerre e le uniche rivoluzioni (vedi mani pulite e casi analoghi) avvengo solo attraverso le vicende giudiziarie, ma anche quando si sparava e avvenivano vere guerre fratricide e non dialettiche come quelle nei salotti dei talk-show, erano sempre un manipolo di persone che si impossessavo di un sistema ormai spento e distratto, basta ricordare lo sbarco dei mille o anche la marcia su Roma.

Non è per fare la Cassandra, non servirebbe a niente, ma chi come me vive nel mondo reale senza condizionamenti intellettuali o padroni, si accorge facilmente che questa consolidata atmosfera del “tira a campare” non è più la stessa, c’è un “fragoroso silenzio”, c’è in gioco una partita a scacchi più grande dei protagonisti che ci vengono sbattuti davanti ai microfoni e alle telecamere.

Uno dei parametri infallibili per misurare la probabilità del cambiamento è il “monitoraggio dei topini”, i primi storicamente a lasciare la nave che affonda e credetemi in questo caso stanno impazzendo poiché con il tripolarismo passare da una parte o dall’altra non da garanzia di aver fatto la scelta vincente, poiché c’è ancora una terza via. Ecco che in questo momento costoro freneticamente cambiano look con la stessa rapidità dei mercati finanziari a seguito delle notizie, non è raro vedere Beniti farsi crescere i capelli lungi sulla loro orgogliosa “pelata” e farsi chiamare Benny o Iosif Vissarionovič tagliare i loro baffoni e farsi chiamare Giuseppe, ma non basta potrebbe essere la terza l’alternativa che alla fine vince e siamo certi che questi non vadano in bicicletta e non si muovano con i carri, motivo per cui non ci sarebbe spazio nei carri dei vincitori? Mi rendo conto che al mercatino delle idee usate, una ideologia di seconda mano la si compra per poco denaro, ma la dignità?

Io non so cosa sarà il domani, io non sono pessimista ma un razionale osservatore dei costumi e dei comportamenti del mio prossimo, ma grazie a ciò posso solo dire che quei “topini” di cui sopra a furia di cibarsi nelle stive dei vincitori, mimetizzandosi con l’arredo o spesso guadagnandosi un ruolo, sono divenuti nel tempo degli orribili “ratti” che hanno infettato il nostro modo di vivere, che hanno portato epidemie di comportamenti che ci hanno portato fin qui.

Pertanto “non è finita perché sta arrivando il cambiamento, ma il naturale cambiamento è arrivato proprio perché è finita” e mi auguro che chiunque arrivi faccia questa volta una preventiva e seria “derattizzazione” allontanandoli per una volta e per tutte dal “formaggio con i buchi”, avendo cura pero di conoscerne “l’intelligenza”, il loro muoversi a branco, il lasciare indietro e sacrificare il topo più anziano e comprendo che molti di loro sono diventati per noi familiari, quasi come animali domestici, ma purtroppo anche se ci ricordano quello che furono, non sono più loro e il loro tempo è passato.

Giunge sempre il momento di una esigenza di nuova moralizzazione, perché attraverso una riscoperta della dignità si possa ritornare agli antichi splendori, cosi come ciclicità della natura ci ha insegnato.

Comprendo che a molti di voi, parlando di topi hanno provato un certo schifo, non vi preoccupate se all’alba di questo cambiamento potrò ancora scrivere, tornerò a parlarvi delle tranquille doppie file nel traffico e di circenses.

Un abbraccio Epruno.