Non aveva ancora finito di suonare l’ultimo rintocco della campana nel quartiere che puntuale giungeva la citofonata del mio amico che mi invitava a scendere, se avessi finito di fare i compiti, per fare una passeggiata.
Avevamo una bella età e non ci ponevamo certi problemi nelle frequentazioni. Allora, bastava essere cresciuti nella stessa zona, aver frequentato la stessa chiesa, essere andati nella stessa scuola per far nascere dei rapporti che ai tempi e per quella classe anagrafica, potevano a pieno merito chiamarsi amicizie.
Oggi uso con scrupolo il termine amico, non so se e quanti me ne siano rimasti ma una cosa è certa, non sarà facile costruirsene di nuove.
Tutto ciò che noi chiamiamo con la parola amicizia, nasce in contesti ben delineati e vincolanti e spesso si esauriscono con essi.
Ad esempio, l’amico al lavoro è come un Rolex cinese, vale tanto quanto questo e si scopre quasi subito.
Una amicizia nata al lavoro dura il giusto periodo di condivisione di uno spazio, un ruolo e un incarico e soprattutto non sopravvive alla competizione.
Una amicizia sul posto di lavoro e come marcarsi a zona nel calcio.
Con certi colleghi dividi giornate intere e ti racconti la vita, condividi segreti, ma poi ti accorgi di esser stato con uno sconosciuto per anni nella stessa stanza e avergli detto cose che nessuno sa e lui ti ha tenuto nascosto che è sposato è ha due famiglie.
Si, vai avanti e scopri che il tuo telefono suona non per chiederti come stai, ma solamente per chiederti se conosciamo quella persona o quel posto.
Quello che in gioventù era un’amicizia oggi è solo convenienza, utilizzo, ipocrisia proprio perché questi rapporti sono basati sulla necessità del viaggio in comune per auto sostenersi, ma dietro di questa non c’è alcun sogno, come poteva esserci in quell’età in cui dovevamo vedercela tutta.
Le paranoie superano le noie, l’egoismo mette avanti prioritariamente le nostre esigenze, poi viene il nostro prossimo.
Difficile che un amico di lavoro, ti permetta una chance, poiché non si danno vantaggi a nessuno, poiché potremmo pentircene e ritrovarcelo quale superiore, mentre seppur incredibile ti potevi ritrovare negli spogliatoi prima di una importante partita, già da studente universitario, a fare i compiti di matematica, al tuo amico, coetaneo che suo malgrado era rimasto ancora in terza media.
Quella solidarietà, quella complicità la si è persa per strada e non perché si è gente più o meno cattiva, ma perché aldilà di quello che hai dato, se hai un momento no, il tuo telefono squillerà soltanto se hai ancora qualcosa da dare o se sei ancora utile a qualcuno.
Pertanto, non bisogna farne un dramma, basta solo avere il coraggio di declassare il termine da amico a conoscente e tutto ritorna a funzionare come prima, poiché è una scelta il dover fare l’eremita alla ricerca dell’amico ideale o decidere di condividere in società il proprio tempo con gente frequentata per interessi vari, per non rimanere soli.