Carissimi,
Loro devono essere. Ormai ne ho le prove e dire che vorrebbero dare la colpa alla cittadinanza e a chi la pulisce.

Questa è una città che sta cambiando giorno dopo giorno, un luogo dove finalmente gli abitanti possono dare sfogo alla propria creatività, un agglomerato dove la parola “regole” è accettata soltanto se “utilizzata nel concetto di interpretazione artistica con iscrizione dei principi basilari che compongono le argomentazioni alternative”. Cioè? “Farisi i cazzi propri”.

Ci sono stati in passato artisti venuti da varie parti del mondo a reinterpretare lo spazio e i ruderi a volte ancora presenti dalle vicende belliche, fior fiore di urbanisti hanno reinterpretato la lettura di opere collettive o la nascita di nuove zone periferiche inventando modi di dire e acronimi che oggi hanno contribuito ad alimentare la fama e la visione di questa città dell’accoglienza che una volta fu solo dell’ospitalità.

Eppure tutto ciò passa in secondo piano rispetto alla genialità di un “popolo” che da solo “muta per rimanere sempre lo stesso”, dicevano i letterati e cioè il “cittadino palermitano”, colui che è in continua sfida con una amministrazione che ogni giorno a causa del recupero del ritardo infrastrutturale vede cambiare la città in continuazione e ne deve interpretare i canoni di fruizione.

A Palermo, non si vendono più piantine della città, diciamolo francamente, perché non sai se giorno dopo giorno questa continui a rimanere aggiornata, un giorno una strada è aperta e il giorno dopo trovi un muro anche se alzato momentaneamente per consentire cantieri di lavoro. Percorri la strada in un senso e il giorno dopo te la ritrovi in doppio senso o in senso inverso, i vigili urbani si sono dichiarati “prigionieri politici” e usano la paletta per difendersi più che per segnalare.

La gente ti viene incontro a piedi in senso opposto nelle poche vie carrabili in centro, forma di evoluzione rispetto al mitico attraversamento in diagonale o a spazzaneve del palermitano e in tutto ciò lui che fa, non sapendo più dove finiscono le isole pedonali ed inizia il normale uso di quella che già i “romani chiamavano strada”, il palermitano decide di viverla, arredandola ai vari angoli con le vecchie suppellettili di casa.

Ci sono fermate con pensiline per l’autobus? Lui mette sotto un divano e un comodino e allora perché lamentarsi per la mancata raccolta della netturba o per la mancanza di operatori ecologici, io la mattina vedo ancora l’uomo con lo scopone che pulisce i marciapiedi ma a mezz’ora la situazione e come prima.

La sera sento passare gli autocompattatori accompagnati dal discreto urlo: “vaiiiiii”.

C’è quindi chi “nette l’urbe”, ma ci sono tanti come direbbe “qualcuno”, “nemici di questa città”, “nemici da cuntintizza” che subito dopo, approfittando delle tenebre, eludendo le telecamere della vigilanza stradale ti lasciano il materasso accanto al portone con un foglio con la scritta cifrata per soli cultori della materia: “R.A.P.”.

Diciamolo, fin quando era REP ancora potevamo comprendere, ma questa scritta R.A.P. nei materassi che cosa avrà potuto significare per i palermitani: “Riposa Amata Palermo”?

Deve esserci una gang organizzata che pensa a ciò, per sovvertire i sensibili equilibri creati e per screditare a modo loro il termine “arredo urbano”, loro devono essere che finanziati delle multinazionali dei divani che vanno aprendo ovunque in Italia portano e lasciano fuori per giorni questi ingombranti “matrimoniali”.

Ricorderete lo scorso anno quando per cento giorni seguimmo la vicenda di “Azzo il materAzzo” fin quando ce lo portarono via dopo che la gente lo aveva accettato venendo financo da fuori a farsi i selfie e aprendo attività imprenditoriali al suo intorno e dandosi appuntamenti in città con la frase “ci vediamo al cinema vicino ad Azzo” o “lì in quel negozio di scarpe difronte Azzo”.

Pensate che alla sua rimozione, in segno di lutto, la municipalizzata addetta all’illuminazione stradale ha persino ritirato definitivamente, come si fa con le maglie dei campioni dello sport quando smettono di giocare, l’armatura con il corpo illuminante posto alla testa del palo d’illuminazione, lasciando l’angolo al buio.

E voi pensate che io possa desiderare di vivere in una città diversa da Palermo? Ma quali città europee potrebbero competere con ciò? A Parigi città Lumière abbiamo i “gaspard de la nuit”, qui abbiamo i “ratti di giorno” che sono quanto i gatti e che per fortuna sono civilizzati e addestrati, addirittura l’altro giorno si narra che uno di questi si è presentato in un ufficio comunale a presentare le sue rimostranze nei confronti di questi interminabili lavori stradali. Un abbraccio, Epruno.