Archivio per la categoria: Epruno – Ad Honorem

Morte di Rosario La Duca

"23 ottobre 2008 – MORTE DEL PROFESSORE LA DUCA, IL CORDOGLIO DEL SINDACO. Il sindaco Diego Cammarata ha espresso cordoglio, anche a nome della città, per la scomparsa del professore Rosario La Duca, del quale ha ricordato le doti di intellettuale e di studioso dedito, per tutta la vita, ad esplorare Palermo nei suoi segreti e nelle sue bellezze, diventandone lo storico per eccellenza."

Un comunicato scarno, rilasciato dall’ufficio stampa del comune di Palermo, mi ha reso nota la morte del Prof. Rosario La Duca.

Nella vita, molti di noi incontrano tanti Professori, ma soltanto due o tre di loro, diventano per noi dei Maestri. l’Ing. Rosario La Duca, lo è stato per me e per generazioni di studenti in Ingegneria, avendo avuto il grande merito con quelle poche ore di lezione, di trasmetterci, l’amore per le nostre radici, il rispetto delle nostre tradizioni, la voglia di conoscere la storia delle nostre città. Una vita dedicata alla roccolta ed al racconto di una immensità di materiale che grazie a Lui arriveranno ai nostri figli. Mi ricorderò sempre, quel suo familiare modo di raccontare di quanto sopra con la stessa passione che ha un "nonnino" nel raccontare ai giovani nipoti. Eppure, per un erudito che ha scritto tanto della nostra città e della nostra terra, non ho trovato neanche una foto su internet, a testimonianza della discrezione e della riservatezza del personaggio che ha affidato alle sue pubblicazioni, ai suoi articoli ed alle sue lezioni un ricordo che rimarrà indelebile in chi ha avuto il privilegio di conoscerlo.

Renzo Botindari

Addio e Grazie ……. Presidente Sensi

image Non si può ricordare Sensi, senza (scusate il gioco di parole) ricordare alcuni passaggi importanti della vita del calcio a Palermo. I palermitani sono famosi per la loro memoria corta, ma aiutiamoli a mettere alcuni tasselli al loro posto. Si è parlato di Sensi quale traghettatore …… Io palerei di Sensi quale salvatore della squadra di calcio palermitana, come sarei sempre grato ad un personaggio come Giovanni Ferrara che resistendo a pressioni, non da poco, è riuscito a cedere la squadra ad un interlocutore affidabile e non ad improbabili “cordate” del resto guardate cosa scrivevano i giornali in quei tempi:

Palermo indagato per mafia – arrestato l’ ex presidente Polizzi, interrogato Ferrara L’ attuale proprietario e’ subentrato proprio a Polizzi (da ieri anche ex assessore provinciale allo sport) nel giugno del 1995; e secondo alcuni pentiti nella cessione della societa’ intervenne la mafia; perquisiti casa e uffici di Ferrara e la sede del Palermo – ………. I fatti risalgono alla primavera del ’95, quando era necessario dirimere i contrasti nati fra Polizzi e Ferrara e conclusi con la cessione del Palermo a Ferrara. Secondo l’accusa, Polizzi dopo la vendita avrebbe tentato di rinegoziare, col sostegno di Cosa nostra, le azioni cedute a Ferrara. E Ferrara avrebbe difeso le proprie posizioni facendo ricorso a un alto esponente del mondo mafioso, il costruttore ……”. ( Maggio Vito – (19 luglio 1997) Gazzetta dello Sport).

Palermo, ora spuntano gli inglesi del Vicenza – il gruppo Stellican ha chiesto notizie sulla societa’ siciliana, presto potrebbe presentare un’ offerta a Ferrara ………Sull’interesse degli inglesi ha influito favorevolmente quanto si era verificato alla Favorita in occasione della partita amichevole Italia – Irlanda del Nord, quando lo stadio siciliano ha registrato il tutto esaurito e migliaia di persone sono comunque rimaste fuori dallo stadio. Cosa che praticamente si e’ ripetuta in occasione di Juventus – Paris S.Germain: anche quella sera lo stadio palermitano non e’ riuscito a contenere quanti avrebbero voluto essere spettatori di una partita peraltro priva di alcun significato ai fini della conquista della Supercoppa d’Europa (la Juve aveva vinto 6 – 1 a Parigi). Non appena gli inglesi avranno gli elementi richiesti dovrebbero presentare un’offerta all’attuale detentore del pacchetto di maggioranza del Palermo, Giovanni Ferrara, e contemporaneamente faranno conoscere l’ammontare delle somme messe a disposizione per il potenziamento della squadra, destinata nei loro piani a tornare in serie A nel giro di poche stagioni. Malgrado le recenti traversie, dalla retrocessione della squadra in serie C1 alle ultime vicende giudiziarie, e’ improbabile che Giovanni Ferrara accetti l’offerta avendo gia’ rifiutato quella del presidente del Venezia, Maurizio Zamparini, poi di un solido gruppo romano (portato dall’ex d.s. Giorgio Perinetti) e ultimamente dell’armatore napoletano Grimaldi. Dopo la forzata rinuncia all’attivita’ imprenditoriale nel settore della pasta, il Palermo e’ importantissimo per Giovanni Ferrara che difficilmente vorra’ separarsene. Peraltro le recenti cessioni miliardarie (Lucenti alla Roma, Tedesco alla Salernitana, Saurini al Padova e Vasari al Cagliari) hanno dato una sistematina ai bilanci pur impoverendo il tasso tecnico della squadra. Pero’, e’ una certezza, non vi sara’ almeno immediatamente l’assillo per l’iscrizione al campionato ne’ per il saldo di alcune pendenze.” (Maggio Vito – (22 luglio 1997) Gazzetta dello Sport).

Ecco in quale atmosfera decise di calarsi Sensi quando intervenne rilevando la società (ma a quanto sembra non i debiti), creando una struttura-società, Presidente Sergio D’Antoni, Allenatore Giuliano Sonzogni e con questa rosa : PORTIERI: SICIGNANO Vincenzo 1974, APRILE Sebastiano 1970, DI MASI Giuseppe 1981; DIFENSORI: MONTALBANO Vincenzo 1970; GIAMPIETRO Silvio Vittorio 1967; CHIONNA Espeditto 1969; ALTOBELLI Simone 1970; QUADRINI Marco 1979; FERRI Luca 1980; PERNA Armando 1981; ACCARDI Pietro 1982 – CENTROCAMPISTI: CAPPIOLI Massimiliano 1968, FURIANI Filippo 1977, SUPPA Pasquale 1967, DI DONATO Daniele 1977, MAGGIOLINI Tiziano 1980, CARDASCIO Carlo 1979, SCARINGELLA Michele 1968 – ATTACCANTI: BELMONTE Emilio 1972, BOMBARDINI Davide 1974, BRIENZA Franco 1979, ELIA Firmino 1974, LA GROTTERIA Cristian 1974, PALUMBO Vincenzo 1974.

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Ma il capolavoro Sensi, lo fece nelle ultime due giornate, quando il bel Palermo di Sinzogni, segno il passo, ed il Messina, secondo in classifica, riusci a recuperargli 8 punti. Memori delle precedenti stagioni nei quali il Palermo aveva nei play-off perso la B, e nei play-out addirittura retrocesso in C2 e poi ripescato ai danni dell’Ischia, non perse tempo ad esonerare Sonzogni ed a mandare a Palermo, un suo uomo di fiducia, sellal’allenatore Sella, il quale riusci a raggiungere l’obiettivo del primo posto e della promozione diretta, anche grazie ad un fortuito episodio quando all’ultima giornata i peloritani, persero in trasferta contro l’Avellino e nei minuti finali sbagliando un calcio di rigore con Vittorio Torino (Avellino ormai tranquillo – si racconta di una partita sopra le righe dell’ex. palermitano Pisciotta) lasciando il primo posto al Palermo con 64 punti . La sconfitta constrinse i messinesi a disputare i play-off. La finale dei play-off mise di fronte Messina e Catania, ed il Messina centrò comunque la promozione, ma di Vittorio Torino, non si senti più parlare. Un centravanti oggetto dei sogni di mercato di tutte le squadre, a causa di quel rigore maledetto, scomparve nell’anonimato.

Oggi diciamo tutti giustamente viva Zamparini, io continuo a ripetere grazie Giovanni Ferrara per aver resistito e fatto la scelta giusta e grazie soprattutto al presidente Sensi per aver salvato il calcio a Palermo, togliendolo dall’inferno della serie C e creando una società che sarebbe risultata appetibile all’imprenditore Zamparini.

Vittorio, questa volta mi hai convinto!

Vittorio Sgarbi conferisce all’artista che colorò di rosso Fontana di Trevi (Graziano Cecchini), l’Assessorato del Nulla. Il Parlamento regionale trema. Il Nulla delle sue giornate non hanno paternità” (da Sicilia Informazioni)

Seguo con tanto interesse il tuo tentativo di creare una “Città del Sole” a Salemi, pensando ad un laboratorio di intellettuali che in un arido deserto di idee, trovano nella provocazione partorita in una mente intelligente come la tua, gli spunti per un modo di fare politica, di rappresentare l’elettore, di percorrere nuovi cliche che ridicolizzino l’attuale rappresentatività!

Scegliere un artista provocatore ed affidargli l’assessorato al nulla, serve ad evidenziare quanti assessori ed assessorati ad oggi, seppur chiamati in vario modo, sono di fatto destinati al nulla. Uno per tutti, dopo le stragi di mafia, è quello nominato alla “trasparenza”, oppure quello dedicato “al programma di governo”, per questo motivo, ti dichiaro “Epruno ad Honorem” e ti attendo nell’Accademia della Rascatura.

 

Per quelli convinti di sapere tutto…….

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Quando avevamo tutte le risposte…

Ci hanno cambiato le domande……..”

Ennio Flaiano

Ci lascia Colicchia

Ieri, di prima mattina , a 86 anni nella sua Messina, ci ha lasciato l’attore Tano Cimarosa. Lo ricordiamo con affetto in uno dei film che più fa capire che cosa è la mafia “Un uomo in ginocchio” di Damiano Damiani, dove al fianco di Giuliano Gemma ed i giovani Eleonora Giorgi e Michele Placido, interpretava la parte del personaggio “traffichino” di Colicchia. Ma è stato protagonista di tante caratterizzazioni di rilievo, quali quella del mafioso Zecchinetta ne “Il giorno della civetta” diretto nel ’67 da Damiano Damiani, accanto ad Alberto Sordi nel ruolo del padre di una numerosa famiglia ne ”Il medico della mutua”, nel ruolo di un emigrato in “Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata” e nel ruolo di una guardia carceraria in “Detenuto in attesa di giudizio”. Ma lo ricordiamo ultimamente per i suoi passaggi costante nei film di Giuseppe Tornatore (“Nuovo cinema Paradiso”, “L’uomo delle stelle”, “Una pura formalità”). Recentemente aveva lavorato in un episodio del serial televisivo “Don Matteo”.

Si può essere professionisti fino in fondo ed avere un cuore!!!

Ricordate tutti quel porco di Luca Toni?
Arrivato quasi da paraplegico a Palermo, a seguito di un lungo infortunio che lo aveva messo fuori squadra a Brescia? Il Luca Mondiale qui ha Palermo, si è ricostruito una vita, si è pure “diplomato geometra”, ha ripreso a camminare ed a giocare, a segnare, ci ha portati in serie A, e per denaro è scappato d’estate nel peggior modo possibile, come un ladro, tradendo i suoi fedelissimi tifosi che al suo ritorno lo hanno accolto con i fischietti, come si accoglie un mercenario.
Amauri, va via anche lui per soldi, per inseguire i suoi sogni, ma riesce a farlo senza mettersi contro una città, ma ringraziando tutti i palermitani e Palermo che gli hanno consentito di arrivare ad essere un calciatore ambito dalle grandi squadre. Non dimentica un anno passato con le stampelle, con il dubbio di non poter ritornare a giocare, ma avvolto dall’affetto di una città che ha mille difetti, ma che se ti dona il cuore, non ti abbandona. Ed il suo attaccamento alla maglia ha commosso tutti nel suo ultimo giro di campo, che ha ricordato l’ultimo mitico giro di campo, quello di Jachini, che mai avrebbe voluto lasciare Palermo, se una società come quella d’allora allenata da Arcoleo, non avesse deciso che il capitano non rientrava nei piani. Ricorda pure il mancato giro di campo di Corini, giunto alla separazione con Zamparini. Il palermitano è strano, si affeziona ed è per questo che questa città è abitata da ex. calciatori del nord giunti qui con diffidenza e mai più andati via …. Chiedere a Majo, uno per tutti, o chiedere a Biava che ha fatto sapere al Presidente che sua moglie Bergamasca si è innamorata di Mondello e che vogliono restare qui per sempre o almeno fino a fine carriera. Ecco il prossimo capitano del Palermo.

 

Giovannino Guareschi compie 100 anni!!!

Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi nacque a Fontanelle (frazione di Roccabianca) il 1° maggio 1908, in una famiglia di classe media (il padre, Primo Augusto Guareschi, era commerciante, mentre la madre, Lina Maghenzani, era la maestra elementare del paese). Nel 1925 l’attività del padre fallì ed egli non poté continuare gli studi. Dopo aver provato alcuni lavori precari, iniziò a scrivere per un quotidiano locale. Nel 1929 divenne redattore del quotidiano Corriere Emiliano e dal 1936 al 1943 fu redattore capo di una rivista destinata ad una certa notorietà, il Bertoldo.

Il 14 luglio 1936, San Bonaventura, troviamo nelle edicole d’Italia il primo numero del quindicinale Bertoldo, rivista satirica edita da Rizzoli e diretta da Cesare Zavattini, in cui Guareschi inizialmente collabora in qualità di illustratore. Si tratta di una nuova rivista, pungente pur se nel regime e diretta a strati sociali medio-alti, in contrasto con il popolarissimo periodico Marc’Aurelio. Vi collaborarono importanti giornalisti ed illustratori del tempo, ma forti contrasti e dinamiche interne portano in breve tempo alla direzione di Giovanni Mosca, con Giovannino Guareschi capo redattore. In capo a tre anni la rivista diventa settimanale con tirature di 500-600 mila copie, e primo tra tutti i giornali umoristici.

Fedele al suo carattere di Bastian contrario, durante la Seconda guerra mondiale Guareschi – penna pungente e pronta ad attaccare senza paura o riverenza i bersagli che più gli sembravano meritevoli di critica – nei fumi di una colossale sbornia, insultò Benito Mussolini e venne arrestato.

Quando l’Italia firmò l’armistizio con le truppe Alleate egli si trovava in caserma ad Alessandria. Rifiutò come molti altri di disconoscere l’autorità del Re e fu quindi arrestato e inviato nei campi di prigionia di Czestochowa e Benjaminovo in Polonia e poi in Germania a Wietzendorf e Sandbostel per due anni, assieme ad altri soldati italiani: gli IMI (Internati Militari Italiani).

Dopo la guerra Guareschi fece ritorno in Italia e fondò una rivista indipendente con simpatie monarchiche, il Candido, settimanale del sabato. Nella rivista insieme ad altre famose penne della satira italiana, curava numerose rubriche tra cui quella a firma “Il Forbiciastro” che spigolava nella cronaca spicciola italiana.
Dopo il referendum del 2 giugno 1946, iniziò ad appoggiare la Democrazia Cristiana, o per la sua profonda fede cattolica o per il suo fervente anticomunismo.

Guareschi criticò e rese oggetto di satira i comunisti nella sua rivista: famosissime le sue vignette intitolate “Obbedienza cieca, pronta e assoluta“, dove sbeffeggiava i militanti comunisti che lui definiva trinariciuti (la terza narice serviva a far uscire il cervello da versare all’ammasso del Partito che avrebbe “pensato” per loro), i quali prendevano alla lettera le direttive che arrivavano dall’alto, nonostante i chiari errori di stampa. Per la celebre prima vignetta del compagno con tre narici, Togliatti lo insultò con l’appellativo di “tre volte idiota moltiplicato tre” durante un comizio. Per tutta risposta Guareschi scrisse su Candido: “Ambito riconoscimento”. Nelle elezioni del 1948 Guareschi s’impegnò moltissimo affinché fosse sconfitto il Fronte Democratico Popolare (alleanza PCI-PSI). Molti slogan, come “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no”, e il manifesto con lo scheletro di un soldato dietro i reticolati russi, che dice “mamma, votagli contro anche per me”, uscirono dalla sua mente fervida. Contribuì notevolmente alla costruzione di un certo immaginario collettivo che avrebbe perdurato per decenni[3].
Anche dopo la vittoria della DC e dei suoi alleati, Guareschi non abbassò certo la sua penna: anzi criticò anche la Democrazia Cristiana, che a suo parere non seguiva i principi cui si era ispirata. Riguardo la formazione in Parlamento di un’alleanza tra DC e PSI nei primi anni sessanta, Guareschi, coerente ed assolutista come sempre, non comprese mai nei fatti politici l’ottica del compromesso, quello stesso che però di fatto segnarono a livello di vita sociale Don Camillo e Peppone.

Nel 1950 fu condannato con la condizionale ad otto mesi di carcere nel processo per diffamazione all’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che era stato bonariamente preso in giro in quanto permetteva che sulle etichette dei vini di sua produzione venisse messa in evidenza la sua carica pubblica di “presidente”. Guareschi non era l’autore materiale della vignetta (l’autore fu Carletto Manzoni), ma fu condannato in quanto direttore responsabile di Candido.

Nel 1954 Guareschi venne nuovamente accusato di diffamazione per avere pubblicato sul Candido due lettere di Alcide De Gasperi risalenti al 1944, in una delle quali De Gasperi (che sarebbe divenuto Presidente del Consiglio nel dopoguerra) avrebbe chiesto agli Alleati anglo-americani di bombardare la periferia di Roma allo scopo di demoralizzare i collaboratori dei tedeschi. Il giudice non accolse la mozione della difesa di Guareschi, che chiedeva che queste lettere fossero sottoposte a perizia calligrafica per accertare che fosse veramente De Gasperi l’autore, come era emerso da una prima perizia. Guareschi fu condannato a dodici mesi di carcere in primo grado. Essendosi rifiutato di ricorrere in appello contro quella che lui riteneva un’ingiustizia, venne recluso nel carcere di Parma, dove rimase per 409 giorni, più altri sei mesi di libertà vigilata ottenuta per buona condotta. Sempre per coerenza, rifiutò in ogni momento di chiedere la grazia. Nel 1956 la sua condizione fisica si era deteriorata ed iniziò a trascorrere lunghi periodi a Cademario in Svizzera per motivi di salute.

Nel 1957 si ritirò da direttore del Candido rimanendo tuttavia un collaboratore della rivista fino al 1961. Continuò a collaborare a vari periodici con disegni e racconti. Nel 1968 gli fu riproposta la direzione del Candido da parte di Giorgio Pisanò, ma morì prima di poter ricominciare a causa di un attacco di cuore.

Nonostante il fondamentale contributo dato da Guareschi alla vittoria democristiana del 1948, dopo la carcerazione morì poco ricordato dopo un decennio di piccole collaborazioni in rubriche di alcuni periodici, ed i suoi funerali, svoltisi sotto la bandiera con lo stemma sabaudo, vennero disertati da tutte le autorità. Unico volto di rilievo, Enzo Biagi ed Enzo Ferrari.

 

Se ne è andato il quinto Beatles

E’ morto a New York Neil Aspinall, per quasi quarant’anni numero uno della Apple, la casa discografica fondata dal quartetto di Liverpool. La notizia è stata data a Londra da i due ex-Beatles ancora in vita, Paul McCartney e Ringo Star e dalle vedove di George Harrison e John Lennon

E dopo Pasqua …….. Pasquino

E’ stato per un bel pò la home page del mio sito, poichè in un certo senso buona parte del piacevole sollazzo che mi impegna nel fine settimana, quando mi accingo alla tastiera per regalarvi spunti di riflessione, si avvicina molto alla mente che guidava la mano anonima di chi lasciava sonetti che canzonavano il Papa……………Nessuno seppe mai chi era Pasquino, probabilmente al Pasquino iniziale si aggiunsero tanti Pasquini, un pò come accade per noi ………… l’importante è prendersi di coraggio e vedrete che ognuno di voi ha qualcosa di divertente da raccontare ………… o qualche clips da mandare e condividere con gli altri. Sono andato a Roma alla ricerca di questa statua che è piuttosto piccola ed “agnonata”, a ridosso di Piazza Navona, è la sua vista mi ha comunque suscitato emozioni!!!!!!!

La statua è in realtà un frammento di un’opera di stile ellenistico, risalente forse al III secolo a.C., danneggiata nel volto e mutilata degli arti. Rappresenta probabilmente un guerriero di area ellenica. Si è sostenuto trattarsi di un frammento di un gruppo, forse dello scultore Antigonos, raffigurante “Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente” (del quale sarebbe una copia bronzea l’opera oggi a Firenze nella Loggia dei Lanzi), ma l’attribuzione è stata contestata. Precedenti attribuzioni intendevano che raffigurasse “Aiace con il corpo di Achille” o “Ercole in lotta con i Centauri”. Reperita a poca distanza da piazza Navona (rione Parione), si ritiene che sia stata impiegata per l’ornamento dello Stadio di Domiziano, oggi coperto dalla piazza. Fu ritrovata nel 1501 durante gli scavi per la pavimentazione stradale e la ristrutturazione del Palazzo Orsini (oggi Palazzo Braschi), proprio nella piazza dove oggi ancora si trova (allora detta piazza di Parione ed oggi piazza di Pasquino). La ristrutturazione, di cui si occupava anche il Bramante, veniva eseguita per conto dell’influente cardinale Oliviero Carafa, in seguito divenuto noto per la campagna di moralizzazione dell’arte; il prelato, che si sarebbe stabilito nel prestigioso palazzo, insistette per salvare l’opera, da molti ritenuta invece di scarso valore, e la fece sistemare nell’angolo in cui ancora si trova, applicandovi lo stemma dei Carafa ed un cartiglio auto celebrativo.

Sul perché la statua abbia proprio questo nome, familiare ed affettuoso, non si hanno che una nutrita serie di ipotesi, per lo più leggendarie. Si vuole, da alcuni, che Pasquino fosse un personaggio del rione noto per i suoi versi satirici: si è detto che potesse essere un barbiere, un fabbro, un sarto o un calzolaio. Secondo Teofilo Folengo “mastro Pasquino” sarebbe stato un ristoratore, un trattore che conduceva il suo esercizio nella piazzetta. Un’ipotesi recente, piuttosto attendibile, sostiene invece che fosse il nome di un docente di grammatica latina di una vicina scuola, i cui studenti vi avrebbero notato delle rassomiglianze fisiche; sarebbero stati questi, secondo tale versione, a lasciare per goliardia i primi fogli satirici. Vi è anche un’altra antica versione che vorrebbe collegare il nome della statua a quello del protagonista di una novella del Boccaccio (Decameron, IV, 7) morto per avvelenamento da salvia, erba nota invece per le sue qualità sanifiche. Il nome quindi sarebbe stato ad indicare chi viene danneggiato dalle cose che si spacciano per buone (come poteva essere, in quel contesto, il potere teocratico papale). (da Wikipedia)

A 321 anni ….oggi ….. Dall’Attasso!!!

Jean-Baptiste Lully o Giovanni Battista Lulli (Firenze, 28 novembre 1632Parigi, 22 marzo 1687) è stato un compositore italiano naturalizzato francese.

Si firmò sempre Lully, sebbene nella lingua del suo paese natale, la y non esistesse. Senza dubbio adottò questa ortografia sentendo il suo nome pronunciato alla francese, ovvero, con l’accento sull’ultima sillaba. Nacque nel 1632 a Firenze o nei dintorni di questa città. Suo padre era garzone di mulino. Lully arrivo in Francia poiché Mademoiselle de Montpensier aveva pregato lo chevalier di Guise di partire per l’Italia allo scopo di ricondurre con sé un piccolo italiano “se ne avesse incontrato qualcuno grazioso”. Senza dubbio il bambino era piaciuto allo chevalier per la gaiezza e la vivacità, giacché era “lariu”. Infatti, quando mademoiselle lo vide (aveva 12 anni), non gli trovò posto migliore delle sue cucine, lo chevalier, nel presentarlo, non avesse fatto menzione dei talenti che possedeva quel ragazzo, il quale aveva infatti ricevuto lezioni da un monaco francescano che gli aveva insegnato a suonare la chitarra. Non appena installato nelle cucine, lo si vedeva raccattare le casseruole di ogni forma e grandezza, disporle convenientemente in scale musicali e poi, servendosi di un mestolo, eseguire bizzarre armonie da carillon con l’improvvisata orchestra. Lo studio della chitarra, gli resero l’apprendere la diteggiatura del violino, una cosa facile e quasi naturale.

clip_image002[5]Il conte di Nogent, nel far visita a mademoiselle e passando per caso sotto le finestre delle cucine, disse alla principessa che tra i galoppini si trovava uno che aveva talento e mano. Il ragazzo compiva allora tredici anni. Mademoiselle lo fece uscire dalle cucine per accoglierlo nei suoi appartamenti, da dove la sua figura poco gradevole l’aveva in un primo tempo fatto allontanare. Durante i sei anni in cui Lully rimase in questa casa fece dei progressi straordinari, specie nello studio del violoncello. Studiò il clavicembalo e la composizione con Métru, Gigault e Roberday, organisti allora molto celebri a Parigi. Appena Lully cominciò a possedere qualche conoscenza nel campo musicale, si mise a comporre e le sue arie non tardarono ad essere notate. Una rimarchevole circostanza, poco onorevole in verità per lui, aumentò la sua reputazione di compositore. l’aver messo in musica una satira contro la sua padrona, mademoiselle de Montpensier, cosa che gli procurò il bando dalla casa in cui aveva vissuto fino ad allora. Obbligato quindi a cercarsi si presentò all’orchestra di corte, e fu accolto come garzone d’orchestra, benché già componesse arie e sinfonie notevoli, il re stesso ebbe voglia un giorno di sentire Lully che suonò in sua presenza con un tale successo che una nuova banda di dodici violons fu formata e messa sotto la sua direzione e la si chiamò banda dei petits violons. Tutti i violinisti che si fecero un nome in quest’epoca e in quella immediatamente successiva, uscirono dall’orchestra di Lully. Nonostante ciò, egli cercava di trovare dappertutto dei protettori, facendosi sentire nelle riunioni importanti dei grandi personaggi della corte e componendo dei brani di limitata estensione che egli stesso cantava. Il suo successo, del resto, era assicurato, dal momento che era piaciuto al re Luigi XIV. Nominato quindi dal re sovrintendente delle musica, smise di suonare per dedicarsi alla composizione. Ma ciò mi spinge a farvi attenzionare questo compositore è certamente l’episodio della sua fine che fu causata da un avvenimento che potrebbe sembrare ridicolo se non avesse avuto così gravi conseguenze per lui: stava provando un Te deum per la convalescenza del re, verso la fine del 1686, quando , battendo la misura col suo bastone, (in quell’epoca la piccola bacchetta del direttore d’orchestra veniva sostituita da un pesante bastone) si ferì l’estremità di un piede per la distrazione. Nel giro di qualche tempo il suo medico gli annunciò che la natura della ferita esigeva l’amputazione del dito. Lully si rifiutò. Più tardi, lo stesso medico gli disse che era necessario amputare il piede, trovando nuova resistenza da parte sua, infine, gli prospettò la scelta tra il perdere la gamba o la vita. A questo punto, Lully si sarebbe forse deciso a subire l’operazione, ma, per sua sfortuna, sopravvenne un ciarlatano che promise di guarirlo salvandogli la gamba. Ebbe dapprima qualche miglioramento, ma fu solo effimero e temporaneo, la cancrena fece progressi rapidi, bisognò rassegnarsi a morire, cosa che Lully fece con la compostezza abituale delle genti del suo paese, confessò i suoi peccati e cantò una frase melodica di una sua composizione su queste parole: Il faut mourir, pécheur. Il faut mourir (Morir bisogna, peccatore. Morir bisogna). Poco dopo spirò, il 22 marzo 1687. (liberamente tratto da Wikipedia)