Opinioni di un Quadro

3131Voi guardate me e io fisso Voi…. e vediamo chi si stanca per primo.
Sono un ritratto fatto per il desiderio del mio committente a cui appartiene questa faccia qui e che poi in verità neanche tanto mi somiglia.
Sono un’opera d’arte perché è famoso l’artista che mi ha dipinto, mentre di me se ne perse la memoria, e oggi sono qui a fare da attrazione in questo museo con il titolo di “nobiluomo anonimo”.
Vi sembra stanca la mia faccia?
Vorrei vedere voi abituati all’istante di uno scatto, posare per giorni e giorni, fermo, con questa stessa espressione, regalata al tempo per sempre.
Tutto il tempo a vedere passare tanta gente a me sconosciuta che si ferma qui davanti per cercare e osservare i dettagli di una tecnica usata, ma mai a incuriosirsi della mia storia e di chi io fui.
E che dire dei critici, ……………..quante fesserie, lo starli a sentire a volte….. è stato un divertimento, altre volte ha rasentato l’offesa, e sarei voluto uscire dalla cornice per inseguirli a calci nel sedere.
Loro che ne sanno …..che nacqui più per fame …… che ispirazione.
Per anni triste e solo su una parete, passato di mano in mano, fin quando strappato all’egoismo di un collezionista morto venduto dai suoi eredi ….fui portato qui a deliziare la vostra vista visitatori di qualunque censo ….. in modo democratico, finanche del bambino irriverente che fissatomi negli occhi dice:
“Oh ……. Papà ma è vero lariu!”

(Scritto e Letto nell’ 12° Episodio di Status Donne – Su CTS – Format di Paola Carella)

La Memoria

Carissimi, emozionatomi come sempre in una settimana come questa ho avuto modo di tornare a riflettere sulla necessità di conservare la memoria degli eventi e delle persone.
Non nascondo che come ogni anno, di getto in quegli istanti, ho scritto qualcosa che non potrò pubblicare poiché frutto di forti emozioni riproponendomi come sempre di utilizzare questi testi in occasioni in cui, spenti i riflettori e le passerelle, si potrà raccontare e sensibilizzare senza il rischio che qualcuno veda dietro ciò ricerca di visibilità.
Personalmente sono convinto che gli “attori in senso lato” venuti da fuori, seppur onestamente contriti, potranno tentare di immaginare, ma non potranno mai vivere tali emozioni con il fuoco della sicilianità (positivo o negativo) di chi in questa terra c’è cresciuto e ci vive.
Come affermava al giornalista il “venditore di pipittoni del Giuliano di Rosi”: “ma lei da dove viene? Allora che ne può capire?”
Non voglio essere così rigoroso con costoro, ma pur concordando con il Foscolo e i suoi cipressi, devo ammettere che è nella natura umana, di certa umanità, il perdere la memoria di alcuni fatti per andare avanti.
Chiariamoci, non parlo delle stragi o delle nefandezze della storia, queste per fortuna le si tramanda di padre in figlio e poco potrà l’intervento dei media nel condizionarne il ricordo nell’epoca del web.
Parlo di ciò diciamo, di ciò che sentiamo, delle esperienze vissute.
Non pretendo che si sia tutti danteschi nel mantenere coerenti posizioni ma è giusto che in quella sorta di “curriculum soppiantato dalle partite di calcetto” resti traccia della storia delle persone, senza necessariamente attendere i mielosi “coccodrilli” all’atto della nostra dipartita.
Certo sarebbe bello un mondo in cui imperi la coerenza, in cui esistano le bandiere, in cui è la ricerca dell’affermazione dell’identità ad avere il sopravvento e non la ricerca del sopravvento a dettare l’identità.
Dopo la geografia, ci siamo giocati anche la storia e non siamo più in grado di distinguere una bandiera da una “pezza tergi polvere”, volete che in tutto ciò si possa mantenere la memoria di una coerenza umana?
Ciò che preoccupa è il rapporto con la “verità”, non quella assoluta, ma quella che ognuno si scrive per darsi ragione e se è vero che la “storia” la scrivono i vincitori è altrettanto vero che la storia con la “s” minuscola, verità contingente, non può essere scritta dal vincitore del momento prendendo a riferimento a un breve lasso temporaneo.
Oggi non c’è bisogno di tenere i mitici armadi metallici chiusi a chiave con i dossier per poter dire: “Buono a sapersi”.
Oggi basta digitare su un motore di ricerca il nome e cognome di un individuo e dopo una semplice precauzionale scrematura delle fonti attendili, tirare fuori dal web foto, filmati, notizie, dichiarazioni e quant’altro e qualora non doveste trovare nulla allora sarebbe ancora più preoccupante.
Quindi come si può artefare la cronaca, come si possono ricostruire verginità senza il rischio di sottoporsi al pubblico ludibrio?
Basta un filmato dalle teche di youtube per sconfessarci e allora comprenderemo quanto è triste la natura umana e ci ricorderemo del difficile “mestiere del campare” e arriveremo a giustificare e guardare con simpatia l’attempata meretrice che di notte nel centro città, qualunque sia il clima, cambia il suo look e il colore delle sue parrucche per apparire una appetibile novità, appena giunta in città.
Pertanto fortunati coloro che al mercato dotati di memoria potranno dire al loro “ex-mulo”: “Bastiano fatti accattare da chi nun ti canusci!”
Un abbraccio, Epruno.

(Pubblicato il 26/5/2017 su www.ilsicilia.it)

L’Abito di Cenerentola

“All’improvviso, una candela venne accesa alle sue spalle.
Cenerentola si voltò, e vide un bellissimo vestito da sera.
L’avevano cucito per lei gli uccelli ed i topi suoi amici, e lo avevano decorato con pezzi di nastro e perline che avevano trovato in giro per la casa”.
Fosse così semplice per uno stilista realizzare un abito per chi “non ha un vestito per partecipare alla serata di gala”.
Certo chi sa quante bambine saranno divenute stiliste sognando da grandi di poter realizzare l’abito di Cenerentola per il ballo a corte, da novelle fate Smemorina, toccando i loro figurini con la propria bacchetta.
come nel mitico film d’animazione di Walt Disney o della favola di Charles Perrault
Dietro un mondo che è tutt’altro che fiabesco, c’è tanto lavoro, competenza e professionalità.
C’è chi cura in modo particolare e talvolta eccessivo lo stile e i fattori stilistici.
Chi progetta e spesso impone la moda e lo stile di collezioni.
Chi cura l’arte dell’ideare, tagliare, cucire e decorare un abito.
Quanta sensibilità nella scelta e l’accoppiamento dei colori
Quanta competenza nella conoscenza delle stoffe.
Ho visto abiti da sposa far diventare belle per un giorno ogni donna.
Ho visto mitici abiti regalare alla storia grandi attrici in grandi film.
Ho visto con arte vestire qualunque donna facendola sentire una principessa per una sera al centro dell’attenzione.
Si la moda è un’arte, un vestito è un’opera d’arte, è una umana ricerca della perfezione stilistica attraverso l’esaltazione dell’essenza della bellezza.

(Scritto e Letto nell’ 11° Episodio di Status Donne – Su CTS – Format di Paola Carella)

Il Vestito Nuovo

Carissimi, provate andare a comprare un vestito, quello che vi fa fare figura e vi fa stare comodi perché lo indossate con soddisfazione.
Penso che ognuno di voi da questo punto di vista abbia le idee chiare, condizionato nel suo giudizio dal proprio gusto, certamente dalle mode (non trattandosi del vestito della tradizione o della cerimonia) e ne sono certo anche della qualità delle stoffe e del lavoro sartoriale di confezionamento.
Ecco, spiegatemi adesso perché se siete in grado di avere le idee chiare su ciò che volete al momento di vestirvi, la stessa cosa non accade nel momento in cui vi dovete comprare il vostro futuro e soprattutto quello delle vostre generazioni che verranno. Perché la stessa ricerca di qualità che fate nel vostro abbigliarvi non la utilizzate nella vostra vita, nel vostro modo di essere, nel vostro modo di giudicare le cose e permettete agli altri di scegliervi l’abbigliamento, spesso standardizzato e tutto uguale, sicuri che il suggerimento datovi è il “meno peggio” di quanto vi potesse accadere.
Il “meno peggio”, siamo entrati nell’era del “meno peggio”, ci basta dire che tutto ciò che di nuovo ci si propina potrebbe essere peggiore per toglierci qualunque stimolo a cercare il meglio o anche cose nuove.
Ci hanno tolto la felicità e poi ci accusano di essere lugubri perché non applaudiamo a tristi spettacoli circensi dove gli stessi clown e le ballerine hanno 80 anni in media e adesso ci tolgono anche la voglia di sperimentare e di sognare cose nuove e perché no, di fare “nuovi errori” sempre che l’errore di per sé effettuato nella ricerca di novità sia un errore imperdonabile.
Cristoforo Colombo cercò una nuova via di navigazione per le Indie e per dimostrare che fuori dalle Colonne d’Ercole non c’erano le fiamme dell’inferno, ebbene sbaglio e scopri le Americhe, perché non poteva immaginare che a metà strada di questo nuovo percorso fatto dal lato opposto per giungere alle Indie c’erano di mezzo le Americhe.
Volete dirmi che questo fu un errore imperdonabile o volete ricordarvi che ciò diede vita all’era moderna? Certo se siete anti americani nessuno vi toglierà dalla mente che quello fu un errore imperdonabile ma se siete persone scevre da faziosità e con un minimo di apertura mentale sarete in grado di giudicare quali vantaggi per il mondo antico diede quella casuale scoperta, non ultimo quello che oggi a distanza di settanta anni, ci ha evitato di marciare in tutto il continente ancora con il “passo dell’oca”, poiché nel nostro caso non ci sarebbe mai stato alcun 25 Aprile, con tutto ciò che ne derivò.
Io non ho paura dei cambiamenti, ho paura dei “fottipopolo” e di quelli che nei bagni di folla mi distraggono richiamandomi l’attenzione sulle loro mani pulite mentre “il compare” da tergo mi possiede innaturalmente.
Io non cerco l’usato sicuro, io cerco di non perdermi un’altra generazione così come si è persa la mia nell’attesa che qualcuno ci dicesse: “è il vostro turno”. Io non ho la pazienza di attendere che le “regine centenarie” muoiano per farsi da parte, perché così facendo i nostri giovani ne avranno di tempo a farsi le valige e ad andare in giro per il mondo da migranti di lusso per affermarsi, mentre da posti ancora più poveri continueranno a giungere gommoni pieni giovani disperati per sostituirli.
Desidero che la gente riprenda coscienza dei suoi diritti camminando per strade piene di buche o salendo su autobus di servizi pubblici inadeguati o attraverso quartieri che non attendano la festa per mostrare il loro aspetto lindo, che i servizi pagati alla fonte attraverso i prelievi fiscali siano realmente resi senza solleciti. Io non voglio vivere in città fantastiche, sarei già emigrato da anni, ma voglio vivere nella città dove sono nato e pretendo che questa sia “normale”, “giusta” e “sicura”.
Io voglio scegliere e non voglio addormentarmi davanti ad un soporifero programma tranquillizzante con in mano un cambia canale rotto ad arte e con un solo tasto che funzioni.
Un abbraccio, Epruno.

(pubblicato il 19/5/2017 sul sito www.ilsicilia.it)

Jazz

Ci sarà un motivo se Viktor Navorski, cittadino di Cracozia, con il suo barattolo di noccioline contenente ciò che lui chiama “Jazz”, ovvero una raccolta di autografi sulla mitica foto di Art Kane, Affronta tante vicissitudini e un lungo viaggio, per esaudire l’ultimo desiderio dal padre, grande appassionato di Jazz, ottenendo l’autografo di Benny Golson, l’ultimo Jazzista mancante alla collezione e fare ritorno a casa.
Ci sarà un motivo se lui chiama soltanto “Jazz” quello scatto che Art Kane, fece alle 10 del mattino del 12 agosto 1958, all’esterno di una palazzina sulla 126th Street, tra la Fifth e Madison Avenues ad Harlem.
Art Kane, Riunì 58 tra i più grandi jazzisti del periodo, Basie, Young, Monk, Blakey, Mingus, Rollins, Mulligan, per dirne alcuni, ma soltanto 57 rientrarono in quello scatto leggendario, “The greatest photograph in the history of jazz”.
Non fu cosa semplice farli stare fermi, tanto che alcuni istanti prima dello scatto il pianista Willie “The Lion” Smith, stanco di aspettare, si spostò appena fuori dell’inquadratura.
Una vivace scolaresca di creature della notte, qualcuno come Whitney Balliet, si narra ironicamente, scoprì per la prima volta la presenza di due ore 10 nell’arco della stessa giornata.
Tanto frenetico entusiasmo è testimoniato da Dizzy Gillespie, che disse:
“…Ecco l’occasione per incontrare tutti questi musicisti senza dover andare ad un funerale.”
Semplicità e grandezza. Ecco il motivo della parola “Jazz”

(Scritto e Letto nell’ 10° Episodio di Status Donne – Su CTS – Format di Paola Carella)

Ma siamo certi di volere il “cambiamento”?

Carissimi, non esiste comizio dall’invenzione della democrazia che non inizi con l’affermazione retorica del candidato di turno: “basta è ora di finirla”. Ma siamo certi di volere il “cambiamento”? Tutti si riempiono la bocca con la parola “cambiamento”, ma alla fine lo vogliamo veramente un “cambiamento”? Sappiamo le conseguenze di un “cambiamento”?
La parola “cambiamento” serve riscuotere applausi, per attirare la rabbia degli scontenti e per coalizzare quelli che oggi vengono definiti populisti. In un certo senso vi capisco, mi metto nelle vesti di un padre di famiglia che deve assicurare il futuro ai propri figli, costui saprà battersi per una giustizia e l’applicazione della meritocrazia o si darà da fare per arrivare al potente di turno che gli possa garantire una corsia preferenziale per i propri ragazzi?
In un mondo giusto i nostri figli valgono tanto quanto i figli degli altri, come dice qualcuno “uno vale uno” e non ci saranno più furbate di pseudo-cooperative-associazioni che attraverso corsi di formazione creeranno precari senza pre-valutazioni (tranne la conoscenza o la colorazione politica) che alla fine verranno stabilizzati, mentre c’è chi ancora fa la fila e spera nei concorsi volendo fare valere il merito. Per farvi un esempio, immaginate per strada le macchine incolonnate procedere a bassissima velocità ma con un traffico veicolare che scorre, ognuno sa che il transito a velocità media di quel percorso duri 30 minuti e di conseguenza potrà organizzare la propria attività sapendo che dovrà impiegare mezz’ora per strada.Immaginiamo parimenti una strada giornalmente davanti i nostri occhi, dove nessuno sta in colonna, dove ognuno tenta di coprire lo spazio creatosi in un istante, dove si utilizzano illegalmente le corsie preferenziali, dove le motociclette sgattaiolano facendo la gincana tra le auto e dove ai semafori si trova di tutto, dall’ipermercato alla questua istituzionalizzata.
Quanto tempo è possibile stimare per la percorrenza di tale tratto di strada se si aggiunge a tutto ciò il tizio idiota che lascia la macchina in doppia e tripla fila restringendo la carreggiata?
Certo mi convinco sempre di più che un mondo con le regole giuste non conviene a tutti, a partire da chi trova comodo non cercare un parcheggio e lasciare l’auto in doppia fila. Per cambiare ci vuole coraggio, non ci vuole egoismo, non sempre serve eroismo e quando serve bisogna avere la forza di fare scelte giuste e non scelte che ci lascino tranquilli.
Così è quella politica con la “p” minuscola, l’arte del compromesso che ti fa accettare cose non universalmente corrette al fine di raggiungere un tornaconto, così spazzati gli ideali se devo fare una puntata, preferisco farla su chi sta vincendo e non certamente per chi fa dei bei discorsi che mi convincono di più ma che non ha nessuna chance di vincita. Secondo alcuni le scelte “romantiche” creano soltanto le minoranze e oggi non vi è posto per le minoranze perché chi vince, grazie a queste cattive regole, prende tutto.
Non pensate che il vostro disagio sia frutto di una posizione di nicchia, oggi il mondo è diviso a metà e se una cosa è giusta secondo il 50% dei votanti che sono abbondantemente al di sotto della metà della popolazione, non è detto che sia giusta in assoluto, ma potrebbe essere soltanto la verità del vincitore. Malgrado quanto sopra e fin quando ce lo permetteranno, giunge il momento che la parola torna alla gente che ha dovuto fare battaglie epocali per avere l’universalità del voto e che di contro in grandi numeri percentuali si astiene dal far valere un diritto.
Non voglio personalmente più sentire di “voti inutili”. I voti come le opinioni sono tutti utili e se le cose a nostro parere non vanno è nostro dovere cercare di cambiarle, se a nostro parere vanno bene le si mantengono, ma in entrambe i casi sarà una espressione della volontà popolare a decidere il tutto e non c’è nessuno che dovrà offendersi. Sorridiamo di più, togliamo offese e volgarità alle nostre campagne elettorali, questo modo di far politica delegittimando, coprendo di merda l’interlocutore e soltanto squallido. Questo creare frasi fatte da ripetere in coro verso il “non noi” a lungo andare ha fatto perdere di credibilità il sistema.
Inizio io nel darvi uno spunto, comunque andranno le prossime elezioni, a giudicare dai manifesti per strada, avremo il nostro consiglio comunale pieno di modelle elette nel partito del Photoshop.
Un abbraccio, Epruno.

(pubblicato il 12/5/2017 su www.ilsicilia.it )

Non siamo un paese serio

Carissimi, non siamo un paese serio, siamo di contro una nazione fantastica.
Siamo come una donna di facili costumi, stupenda ma tutto fuorché seria.
Non siamo abituati alle regole, le confezioniamo per disattenderle, violandole o derogandole e mettendole subito in contestazione e poi ci meravigliamo che questa “cosa” (che viene da chi sa quale mondo lontano dell’universo) che si chiama “politica” ci sconvolge per la sua poca affidabilità.
La politica? Vogliamo dire che è tutta colpa della politica? Ma la politica chi la fa?
Ad esempio, da qualche tempo abbiamo scoperto il gusto delle “primarie”, i partiti organizzano al proprio interno queste mini consultazioni scrivendo e tassando i propri votanti (quindi attraverso uno strumento democratico indiscutibile), ottenuti i risultati che danno un vincitore (chiunque esso sia e qualunque sia l’entità del suo successo) c’è già chi decide di non accettarne l’esito poiché non è coincidente con quello desiderato da una sparuta élite che va in tv a fare opinione.
Per quale motivo contestare gli esiti soltanto perché si è perso? Ma in quale paese civile, stabilite prima le regole, si contesta l’esito finale di una corretta e democratica competizione?
Odiamo i leader ma ne sentiamo il bisogno per deresponsabilizzarci lasciando a loro le decisioni e gli eventuali insuccessi. Cerchiamo sempre un balcone sotto al quale affollarci e ripararci per qualche tempo.
I nostri leader di contro risentono di quest’ambiente poco serio e provano continuamente ad andare ben oltre il loro mandato tanto che una volta giunti al successo (specialmente negli ambiti locali) si sentono già padroni della “cosa pubblica” e pur non essendoci nel nostro ordinamento il concetto dello “spoils system”, decidono di cambiare i vertici di ogni realtà a partecipazione pubblica mettendo alle loro guide uomini del proprio “cerchio magico“, pestando sotto i piedi i criteri della meritocrazia e i valori di un’amministrazione partecipata e condivisa.
Chi si candida dovrebbe farlo per mettere le proprie qualità a disposizione della collettività e per amministrare la “comunità”, purtroppo si finisce spesso per farne un mestiere, il proprio unico mestiere.
Ogni governate è uso celare l’incapacità di raggiungere i propri obiettivi additando chi l’ha preceduto quale colpevole di tutto ciò che non funzionerà e dietro alla pesante eredità tramandatagli.
All’estero, quando un leader perde le elezioni va a casa e passa il suo tempo a fare conferenze in giro per il mondo e a scrivere libri di memorie.
In Italia ciò non succede perché alle urne non perde mai nessuno.
Alle elezioni non vi sono mai sconfitti poiché grazie alla buona abitudine di frazionarsi in partitini che cambiano periodicamente nome e al voto organizzato in periodi diversi per nazionali, regionali e comunali c’è sempre chi dice, anche se palesemente battuto: “se confrontiamo i dati con le precedenti regionali in cui il PX era consociato con il PY e il movimento WX, sommando i singoli voti ottenuti, si nota che il risultato può esser considerato più che lusinghiero”.
Verrebbe da dire: “ma c’è o ci fa?” Inoltre: “ma ci credono proprio così stupidi?”
Vi sembra un paese serio? Un abbraccio, Epruno.

(pubblicato su www.ilsicilia.it il 6/5/2017)

Eppure poi Rimaniamo Basiti

Troppi episodi frutto della violenza di uomini sulle donne rimangono spesso nascosti e impuniti dentro le mura domestiche.
Violenze nate nel concetto di disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne e della costrizione in posizione subordinata di quest’ultime che ancora oggi persiste in certi contesti.
Troppe volte da spettatori occasionali sottovalutiamo classificandole come cose da ragazzi, le liti per strada tra fidanzatini, con lui che afferra, strattona, o schiaffeggia la ragazzina, covando già dentro di se l’embrione e il carattere di un uomo violento.
Quante volte anche le sole minacce e le violenze psicologiche, ancor prima delle violenze fisiche, ……….vengono spesso sminuite?
Quante volte attraverso le pareti abbiamo involontariamente ascoltato urla e litigi, non prestando la dovuta attenzione, poiché la privacy andava comunque rispettata.
Eppure poi rimaniamo basiti e increduli nell’apprendere:
di orribili delitti compiutisi ai danni di una donna e dei propri figli, appena dietro la porta accanto alla nostra;
del 35% di donne nel mondo che hanno subito una violenza fisica o sessuale;
di 6 milioni e 800 mila donne in Italia che hanno subito, nel corso della propria vita, una violenza fisica o sessuale;
di quel 12% di queste che non ha avuto il coraggio di denunciare la violenza;
dei 150 femminicidi annui in media, due terzi dei quali avvenuti in ambito familiare.
Numeri da brividi ….. eppure ……
A rassicurare la nostra coscienza ci sarà sempre la testimonianza dei vicini, sulla gentilezza del marito boia e …….quella foto in bella mostra sul mobile, dello sposalizio di una giovane coppia sorridente e apparentemente felice almeno il giorno delle loro nozze.

(Scritto e Letto nell’ 8° Episodio di Status Donne – Su CTS – Format di Paola Carella)

“La vita” lasciamola fuori da ciò

Carissimi, certe volte “la vita” ci si siede accanto e rimane in silenzio a osservarci, così come faceva quando eravamo dei bimbi nella culla e si chiedeva cosa saremmo diventati.
Siamo cresciuti e lei con noi, siamo stati sempre insieme nei momenti che contavano, ci ha aiutato ad alzare dei trofei, ci ha sostenuto quando avremmo voluto piangere e stata difronte a noi a fissarci quando abbiamo dovuto prendere decisioni difficili.
“La vita” è stata sempre accanto a noi come una presenza discreta eppure spesso abbiamo addossato a lei i nostri errori, le nostre scelte anche quando siamo stati dei salmoni impazziti ad andar controcorrente.
Eppure ci fu un tempo in cui lei era giovane come noi e noi eravamo per necessità già più matura di lei e facevamo sport perché quella era l’età dell’agonismo, studiavamo perché quello era il momento nel quale dovevamo costruire il nostro futuro, quando avremmo potuto divertirci un po’ di più come la stragrande maggioranza dei nostri coetanei, avremmo potuto vivere passando da una festa all’altra, da una ragazza all’altra, da una bottiglia all’altra e perché no, drogarci e non mi dite che mancavano le occasioni.
Così nell’attesa di crescere, avremmo potuto anche avventurarci in imprese balorde, mettere insieme più famiglie, spargere figli di qua e di la e poi buttarla da tergo alla “vita”, come causa di tutte le cose che non sono andate come sarebbero dovute andare.
Che strano, io sono qui appesantito, con le cicatrici che una crescita razionale mi ha prodotto e la mia “vita” è in perfetta forma difronte a me e mi guarda aspettando istruzioni per fare cose folli, con tanta voglia ancora di scoprire cose nuove e io vorrei dirle: “Amica aspettami, non ce la faccio”.
Io correvo nell’età dell’agonismo, i miei coetanei, al tempo “paccheri” reduci stremati dall’ora di educazione fisica scolastica, corrono tutti adesso, ora che non c’è nulla da vincere, quasi a voler esorcizzare l’età che passa e non volersi arrendere al fatto che crescendo s’invecchia e come ho detto più volte, “invecchiare non è una cosa tragica, ma è soltanto vivere una stagione diversa con spirito diverso e risorse diverse.”
Costoro con fisici apparentemente perfetti, a volte stirati che ricordano lontanamente quello dei ventenni, sono li alla ricerca di energie e di surrogati mentre la loro “vita”, seduta difronte è invecchiata con le cicatrici di tutte le scelte frettolose sbagliate, del danno che per incoscienza è stato lasciato nelle “vite altrui”, di tutto quel peso degli errori che zavorrano l’animo, vorrebbero esorcizzare tutto ciò attraverso una iperattività fisica, come se gli errori potessero andare via come i chili superflui.
Chi ha avuto ragione? Prima che truccassero le regole, le tappe del nostro crescere e le metodologie dell’ingresso in società erano risultate giuste e di qualità, adesso siamo figli di una società livellata verso il basso che va appresso ad effimeri esempi del momento non avendo più ideali in cui credere.
Guardiamoci, adesso che potremmo essere determinanti, ci ritroviamo ancora davanti al dilemma: “indossare gli scaldamuscoli o resistere ancora al panem et circenses”.
Potrebbe essere una grande strategia per livellarci e distrarci dal problema, ma ricordate che saremo noi i responsabili delle nostre scelte, “la vita” lasciamola fuori da ciò, poiché o in perfetta forma come la mia o con gli scaldamuscoli ma usurata come quella di altri, giunto il momento ci lascerà in tredici allo stesso modo.
Un abbraccio, Epruno.